martedì 9 luglio 2013
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Erano i ragazzi-meraviglia della Tradizione, i golden boys dell’altro Sessantotto. Mentre tutto intorno imperversava il marasma ideologico degli anni Settanta, loro restavano saldi al magistero di Augusto Del Noce. Pubblicavano per editori che, all’epoca, non godevano di buona stampa: la Vallecchi rimodellata da Geno Pampaloni, la Rusconi diretta da Alfredo Cattabiani. Tra di loro c’erano promettenti accademici come Emanuele Samek Lodovici, autodidatti di genio come il filosofo-operaio Mario Marcolla e professori di liceo con la statura del maestro come Rodolfo Quadrelli, probabilmente il più eclettico del gruppo. Nato a Milano nel 1939 e morto nell’84, a soli 46 anni, per un incidente domestico, Quadrelli fu infatti poeta e saggista, autorevole studioso di Shakespeare e cronista acuto della crisi di cui gli era toccato essere contemporaneo.Una figura ancora poco conosciuta, oggetto però di periodiche riscoperte. La più recente è venuta dalla rivista «Kamen’», che in un recente fascicolo ha riproposto una manciata di scritti provenienti da Il linguaggio della poesia, il volume che nel 1969 segnò l’esordio di Quadrelli (a pubblicare era, appunto, Vallecchi). Libro introvabile, come ormai tutta la bibliografia di questo autore, nella quale rientrano – oltre ai versi di Apologhi e filastrocche (ancora Vallecchi, 1972), Commedia (All’Insegna del Pesce d’Oro, 1977) e Ironia (Rusconi, 1980) – le analisi critiche consegnate alle pagine rusconiane di Filosofia delle parole e delle cose (1971), Il Paese umiliato (1973) e Il senso del presente (1976). Senza dimenticare un paio di notevoli titoli postumi: La tradizione tradita (Leonardo, 1995) e Lo studio della letteratura europea (Il Cerchio, 2000), che propone un percorso del tutto anticonformista, da Dante a Solzenicyn.Come spesso accade nei pensatori di carattere, il nucleo della riflessione di Quadrelli è già presente per intero nel Linguaggio della poesia. La questione decisiva è di ordine morale, non stilistico, secondo la lezione appresa da Pound (di cui Quadrelli fu traduttore) e da Eliot, al quale è dedicato uno dei saggi ora ripresi da «Kamen’». Annota per esempio Quadrelli a proposito della critica eliotiana: «La grandezza si può ammirare senza parteciparvi; non così il bene che pretende una partecipazione per essere conosciuto». Non è difficile riscontrare in queste righe un’eco dell’esattezza tomista, in virtù della quale la complessità del moderno è ricondotta ai princìpi elementari di una classicità che, dal mondo greco-romano, si spinge fin dentro al cattolicesimo. È la Tradizione alla quale fa riferimento costante il discorso di Quadrelli, sia che si tratti di revocare in dubbio la lettura corrente di Leopardi, sia che si vogliano affrontare i falsi miti della contestazione di massa.Scrive ancora Quadrelli: «La poesia, come l’arte superstite, può forse scoprire la via, ora celata, ora aperta, che conduce alla giustizia del riconoscimento; una via che si chiama per ognuno destino e tradizione per tutti». In questa prospettiva anche uno spunto apparentemente occasionale come il meccanismo dei premi letterari (da cui prende le mosse il brano su “Il confronto letterario” compreso nel Linguaggio della poesia, adesso riprodotto da «Kamen’» e, in parte, qui a fianco) si rivela in realtà sorretto da una raffinatissima strumentazione concettuale. Che cosa succede, si domanda Quadrelli, quando il «termine di confronto» diventa il «confronto» stesso? Più di quarant’anni dopo ancora non abbiamo trovato la risposta. Ma almeno abbiamo capito che è da qui che occorre ripartire.
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