martedì 2 dicembre 2014
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T. ha meno di trent’anni ed è nato in Eritrea. Dopo la fuga dal suo Paese, era approdato sulle coste italiane ad agosto: in Sicilia, le autorità di pubblica sicurezza lo hanno fotosegnalato. Poco dopo, lui è riuscito a raggiungere la Svezia, dove lo attendevano i familiari. Ma a novembre le autorità svedesi, in base al "sistema Dublino", lo hanno prelevato e messo su un aereo, rispedendolo in Italia. Anche M., ventenne somalo, soccorso in mare a fine 2013, era riuscito a raggiungere i parenti nel Regno Unito, ma otto mesi dopo è stato rimandato nel nostro Paese. Le associazioni umanitarie li chiamano dubliners: sono profughi soggetti ai regolamenti seguiti alla prima Convenzione di Dublino del 1990, in base ai quali lo Stato europeo competente per la decisione su una domanda d’asilo è quello in cui il richiedente ha messo piede per primo. T. e M. sono due fra gli oltre centomila migranti tratti in salvo, secondo i dati ministro dell’Interno Angelino Alfano, nei 13 mesi dell’operazione Mare nostrum. Quanti di loro hanno lasciato il nostro Paese? In assenza di identificazioni, non c’è un dato certo: si ipotizzano circa 50mila profughi migrati in altri Stati Ue. Ma quanti di loro, finora, sono stati rimandati indietro col Dublin transfer?Per rispondere alla domanda, Avvenire ha visionato documenti di diverse fonti istituzionali italiane e straniere. Incrociando i dati, si scopre che dal primo gennaio 2014 11 Paesi Ue hanno inoltrato finora all’Italia 15.760 proposte di «riammissione passiva» di profughi rintracciati nel proprio territorio ma che sarebbero «di competenza» italiana. Circa 13.300 sono state accolte, il che significa che altrettanti profughi (con treni da Austria, Svizzera, Francia o voli aerei da altri Paesi) sono già tornati in Italia. Sono uomini e donne (in qualche caso intere famiglie) scampati al conflitto che insanguina la Siria, afghani, eritrei, somali o di altre aree di crisi del pianeta, che avevano cercato riparo in nazioni Ue dove sapevano di poter contare su reti familiari o su un welfare più robusto.A rimandarci indietro più richiedenti asilo sono state le vicine Francia («9.542 proposte», circa 7.500 accolte), Austria («4.809», quasi 500 respinte) e Svizzera («1.282», quasi tutte accolte), che non è nella Ue ma aderisce agli accordi. Dalla Germania invece ne sono giunte solo «6» in undici mesi. Dato per certi versi sorprendente, se si ricordano le frizioni estive, poi appianate, fra il governo di Berlino e quello italiano sulla necessità di schedare tutti i migranti giunti con Mare nostrum (per facilitare appunto l’applicazione delle norme di Dublino) e se si tien conto delle affermazioni di molti profughi siriani che, poche ore dopo lo sbarco in Italia, sostenevano di essere diretti in Germania: qualcuno secondo gli operatori di prima accoglienza, avrebbe avuto addirittura biglietti aerei prenotati verso scali tedeschi. Anche per quanto riguarda gli altri 7 Paesi "respingitori" i numeri sono esigui: 68 proposte di riammissione dalla Slovenia, 24 dalla Norvegia (extra Ue ma aderenti ai trattati), 18 dalla Svezia, 6 dalla Grecia, 3 dall’Inghilterra e 1 ciascuno da Belgio e Irlanda.Cosa accade ai richiedenti asilo che rientrano in Italia? Il 4 novembre la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, pronunciandosi sul caso Tarakhel (il rimpatrio verso l’Italia di una famiglia afghana di 8 persone) lo ha subordinato alla richiesta di garanzie (che i bambini siano assistiti in modo conforme alla loro età e che sia mantenuta l’unità della famiglia). Dopo quella vicenda, il ministero dell’Interno ha indicato alcuni centri (anche della rete Sprar) adeguati per tale accoglienza.In prima battuta, l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati si occupa delle varie situazioni. C’è chi, come T. e M., finisce per ribussare alle porte di uno degli enti umanitari che l’avevano preso in carico la prima volta: Caritas, Centro Astalli, Arci fra gli altri. «Da ciò che ci consta – spiega il vicepresidente dell’Arci, Filippo Miraglia – le proposte di riammissione stanno crescendo». La sua collega del servizio immigrazione, Valentina Itri, aggiunge: «Le autorità italiane hanno 60 giorni per contestare, sulla base di prove, la proposta. Se il termine scade, la si deve considerare accolta». A vagliare le pratiche è un ufficio del Ministero dell’Interno, detto appunto "Dublino". E i vertici del Viminale starebbero pensando di rinforzarlo, nel caso in cui le "riammissioni" dovessero aumentare.
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