lunedì 13 febbraio 2012
Gli esodi incentivati sono stati a lungo un’opportunità per imprese e dipendenti, ma con l’ultima riforma delle pensioni decine di migliaia di italiani sono stati tagliati fuori sia dal mercato occupazionale che dai trattamenti previdenziali. Ora si cerca la mediazione.
COMMENTA E CONDIVIDI
Senza rete. Migliaia di lavoratori rischiano di rimanere privi di reddito a seguito della riforma che ha allungato l’età pensionabile e tagliato le uscite di anzianità. Senza lavoro e lontani dalla pensione, in questi giorni guardano con speranza alle mosse del governo e del Parlamento, chiamati a dare una risposta alle loro preoccupazioni. Sono i cosiddetti "esodati", dipendenti che hanno avviato (accettandolo o spesso subendolo) un percorso di uscita dall’attività e di "scivolo" verso la pensione con gli strumenti di sostegno al reddito, come la cassa integrazione e gli assegni di mobilità. Il problema è noto dal dicembre scorso, quando il decreto «salva-Italia» ha rivoluzionato i criteri pensionistici prevedendo un paracadute solo parziale per i lavoratori rimasti nel limbo. Si tratta di persone di 55-60 anni, molto difficili da ricollocare al lavoro. È come fossero saliti su un ponte e avessero poi scoperto che finisce in mezzo al fiume, divenuto d’improvviso più largo. Un bel problema, al quale sta cercando di mettere una pezza il decreto Milleproroghe, in questi giorni in Commissione al Senato. C’è un emendamento sostenuto da Pd e Pdl per l’estensione della platea dei lavoratori da proteggere. Ma il governo l’altro giorno ne ne ha chiesto la sospensione perché non si è sciolto il decisivo nodo della copertura finanziaria. Il tempo stringe: una soluzione va trovata entro lunedì perché martedì il testo va in Aula. Con la crisi gli esodi incentivati si sono moltiplicati. Coinvolgono grandi imprese nazionali tra cui Fincantieri, la Fiat di Termini Imerese, Eutelia, le Poste. Insieme a centinaia di aziende medie e piccole. Il meccanismo è noto e nel tempo se ne è probabilmente abusato, scaricando sul bilancio pubblico le difficoltà dell’economia: un’azienda va in crisi, ha bisogno di ridurre il personale e concorda un percorso di uscita per i lavoratori non lontani dalla pensione. Uno o più anni di cassa e di mobilità (in certi casi fino a sette anni, vedi la vecchia Alitalia) finché non si raggiungono i requisiti per l’assegno previdenziale.Poi a dicembre arriva la riforma, che obbliga milioni di lavoratori italiani a rinviare di anni la data di uscita. Il decreto garantisce il mantenimento dei vecchi requisiti pensionistici in caso di «effettiva risoluzione del rapporto di lavoro» alla data dell’approvazione del decreto, poi estesa dalla Camera al 31 dicembre scorso. In sostanza gli esodati che a fine anno erano già fuori, ad esempio in mobilità, manterranno il percorso già stabilito. Nulla è previsto invece per quelli che avevano già pattuito lo scivolo verso il pensionamento anticipato ma risultavano a quella data ancora attivi: la platea comprende anche i cassaintegrati, che formalmente sono ancora dipendenti dell’azienda. Quando finirà il sostegno al reddito, non avranno più nulla. Cgil, Cisl e Uil hanno organizzato giovedì scorso un presidio nel centro di Roma per sollecitare nuovamente un intervento. Gli esodati dalle grandi aziende con procedure collettive sono circa 70 mila, spiega Vera Lamonica della segreteria Cgil, ma è difficile un conto esatto dei lavoratori a rischio perché ci sono stati molti accordi nelle Pmi, anche individuali.Il primo allargamento dell’"ombrello", deciso dalla Camera è finanziato con un aumento delle accise sulla benzina. Ma la modifica è insufficiente. In Senato l’emendamento che ha come primi firmatari Maurizio Castro (Pdl) e Giorgio Roilo (Pd) chiede garanzie per tutti coloro «la risoluzione del cui rapporto di lavoro sia stata pattuita in accordi individuali o collettivi» entro il 31 dicembre scorso. Ovviamente più ampi sono i "paletti" previsti, maggiore è la spesa da prevedere per le casse dello Stato. Così pare che governo e partiti stiano trattando, cercando un punto di compromesso al momento tutt’altro che scontato. Si ipotizza un’estensione della copertura del reddito per i lavoratori che interromperanno effettivamente il rapporto di lavoro entro giugno o al massimo entro dicembre 2012, per effetto di accordi siglati entro il dicembre scorso. Un passo avanti. Che lascerebbe comunque migliaia di lavoratori in mezzo al fiume.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: