martedì 19 luglio 2016
Può un film porno di soli 19 minuti rilanciare le sorti di un festival cinematografico? Probabilmente sì, devono aver pensato gli organizzatori della 52esima edizione della Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro.
È il porno, bellezza! (Guai a chi dice no)
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Può un film porno di soli 19 minuti rilanciare le sorti di un festival cinematografico? Probabilmente sì, devono aver pensato gli organizzatori della 52esima edizione della Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro. Ma l’operazione di marketing rischia ora di avere il classico effetto boomerang. Infatti la pellicola, celebrata come «un capolavoro artistico e culturale » e già selezionata in uno dei tanti festival stranieri, non è passata alla prova del pubblico di Pesaro che in larga parte ha bocciato la “novità” giudicandola lesiva della dignità delle donne.Il cortometraggio, dal titolo «Queen Kong», è vietato ai minori di 18 anni per le scene di sesso esplicito che vi sono contenute ed è prodotto da 'Le ragazze del porno', un gruppo di registe italiane, dai 25 ai 75 anni, che ha l’obiettivo di emancipare l’universo femminile dal tabù della pornografia. E il direttore del festival pesarese, Pedro Armocida, ci ha scommesso su così tanto che, nel corso della breve conferenza stampa al teatro farnese di Roma, ne ha riservato la prima visione ai giornalisti, nonostante gli altri 150 film in cartellone. Oltre al cortometraggio la scommessa prevedeva anche di concludere le nove giornate del festival con la tavola rotonda dal titolo 'Porno al femminile'. Un dibattito diventato surreale quando pornostar ed escort hanno cominciato a discutere di alcuni attrezzi del “mestiere”, il tutto mentre numerosi ospiti – soprattutto donne – abbandonavano la sala. L’operazione commerciale (va detto che l’attenzione mediatica riservata al Festival è stata tutta per la pellicola in questione, magnificata in ogni dove) è stata criticata dal settimanale Il Nuovo Amico e dall’agenzia Sir, che hanno messo in evidenza la banalità della scelta e l’interpretazione minimale del cortometraggio. La regista Monica Stambrini spiega di aver voluto giocare sull’inversione dei ruoli per realizzare un film «parecchio liberatorio », in cui è convinta di aver dimostrato che il porno può entrare a pieno titolo nel cinema d’autore. «Si tratta di uno stupro su un maschio, io ci faccio quel che voglio mentre lui è terrorizzato », ha reso meglio l’idea Valentina Nappi, nota pornostar e protagonista del cortometraggio, al termine dell’anteprima pesarese. La storia di «Queen Kong» in effetti è proprio quella di un uomo ubriaco che non riesce ad avere un rapporto sessuale con la sua compagna: la donna allora decide di costringerlo con la forza, trasformandosi in una creatura demoniaca, con il classico volto da capra e le corna (l’iniziale travestimento da gorilla, cui si ispira il titolo del corto, richiedeva tempo e costi insostenibili col solo budget raccolto per la produzione). «È un’operazione di impoverimento culturale che lede gravemente l’immagine femminile», ha accusato Graziella Gentilini, a nome delle donne del Cif pesarese. E Roberta Crescentini, consigliere comunale della lista civica Siamo Pesaro, presenterà nei prossimi giorni un’interpellanza sul metodo politico, «perché – spiega – esiste un ordine del giorno che impegna sindaco e giunta a procedere affinché nessun materiale di iniziative collegate o patrocinate dal Comune sia veicolo di stereotipi lesivi della dignità della donna». Inoltre la Crescentini sottolinea il silenzio delle donne elette nel partito di maggioranza (Pd), a suo dire condizionate dal doppio ruolo del Sindaco di Pesaro che, per statuto, è anche presidente della Mostra del Cinema. Di fronte alle critiche va registrata la reazione scomposta della regista del film che ha bollato Pesaro come «città provinciale e borghese», puntando il dito contro il «pregiudizio» della Chiesa, mentre i vertici del Festival hanno fatto quadrato gridando alla censura. «Piuttosto le nostre istituzioni – scrive Il Nuovo Amico – dovrebbero andare fiere di come la cittadinanza partecipa criticamente a ciò che gli viene fatto passare come cultura». E nel dibattito si inseriscono oggi altre voci femminili, al di là della morale e della visione cattolica: Grazia Calegari, tra i massimi esperti di arti visive delle Marche e Silvia Cecchi, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro e membro della Commissione per le pari opportunità dell’Associazione Nazionale Magistrati. Per Calegari il cortometraggio non ha nulla di artistico ed è solo una trovata commerciale. Di qui l’appello alle voci libere culturalmente e politicamente ad intervenire «in una città – aggiunge – condizionata in maniera eccessiva da una cortina ideologico-politica». Per il giudice Silvia Cecchi il film mette in scena lo stereotipo medievale della donna/demonio, con un’operazione antifemminile e di retroguardia ma «in un’epoca come la nostra – dice –, in cui aumentano per esempio i femminicidi, sarei piuttosto preoccupata di un genere che deliberatamente sceglie di alimentarsi di un fondo libidico che è contiguo allo stesso fondo libidico di cui si alimenta la violenza».
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