lunedì 29 febbraio 2016
La sentenza del Consiglio di Stato, a cui si era appellato il Governo, dà ragione ai disabili e alle loro famiglie in merito al nuovo Isee: l'indennità di accompagnamento non può essere conteggiata come reddito.
«Indennità per i disabili non fa reddito»
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La sentenza del Consiglio di Stato dà ragione ai disabili e alle loro famiglie in merito al nuovo Isee: l'indennità di accompagnamento non può essere conteggiata come reddito. Al Consiglio di Stato si era appellato il Governo, facendo ricorso contro la sentenza del Tar sulla materia. «Deve il collegio condividere l'affermazione degli appellanti incidentali - si legge nella sentenza - quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito - come se fosse un lavoro o un patrimonio - e i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una remunerazione del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l'art. 3 della Costituzione».Il Consiglio di Stato conferma quindi quanto già sentenziato dal Tar del Lazio, il quale aveva respinto «una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale»: in sintesi, le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito. E argomenta così il Consiglio di Stato, in merito alla questione di indennità e reddito: «Non è allora chi non veda che l’indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all’accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un’oggettiva e ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d’inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale.Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo e a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa». «È una sentenza storica, perché nata dalla volontà di tante persone e famiglie vessate da una legge iniqua e ingiusta e da un governo che si è mostrato persecutorio nei nostri confronti – ha commentato Chiara Bonanno, una delle promotrici del ricorso in una dichiarazione riportata dall'agenzia Redattore sociale –.  La prima sentenza del Tar era infatti immediatamente esecutiva, ma per due anni il governo ha continuato ad applicare un Isee palesemente ingiusto, che ha creato ingiustizie, gravi danni e perfino morti. Perché chiedere a famiglie allo stremo di compartecipare alle spese dell'assistenza significa colpire con forza chi forza non ha. Chi ha fatto questa legge ha creato gravi danni economici, ma sopratutto alla dignità di queste persone».
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