mercoledì 28 agosto 2013
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Delle due guerre mondiali, Emilia Zucchetti ricorda «la fame». Non i bollettini della vittoria, non i discorsi dai balconi, non le ore segnate dal destino. Ma «la fame. Mancava tutto. I ricchi mangiavano, per i poveri non c’era mai niente: ma, anche loro, sono finiti tutti sotto terra». Del ritorno alla pace, dopo la Seconda guerra, ricorda «il voto alle donne. Che ingiustizia essere escluse, finalmente una conquista che ci innalzava!». La voce si scalda. «La prima volta, quando andai con mia madre, quante donne ai seggi, era pieno! Io ho scelto la Repubblica, non il re che ci aveva abbandonati. Poi ho sempre votato Dc». Dell’infanzia: «Che bella età... Ma si fa pesante, quando devi lavorare e portare a casa i soldi». Così fu per Emilia, che iniziò a fare la sarta che non aveva ancora dieci anni, e ha continuato fin oltre la soglia della pensione. «Quel lavoro mi piaceva sì e no, ma mi permetteva di farlo restando a casa».Emilia Zucchetti, capelli d’argento, voce sottile, come il corpo di passero, oggi compie 110 anni. A quell’età la memoria del cammino fatto, come le parole per raccontarlo, si fanno scarne, essenziali. Non danno appigli alla retorica, vanno al sodo. A chi le chiede quale speranza, alla sua età, porti nel cuore, risponde: «Che si stia tutti bene. E che ci sia un buon governo. Chi comanda, che lo faccia con coscienza». A chi le chiede se crede in Dio: «Sì. Credere è l’unica risorsa che una persona può avere. Credere mi dà molta soddisfazione». A chi infine le chiedesse se è contenta della vita che ha fatto: «Sì, sono contenta. Non ho rimpianti. Ho fatto la vita che volevo e ho gente che mi vuole bene». E aggiunge, con ironia: «Chi dice mah il cuor contento non ha».La gente che le vuol bene oggi le si raccoglie intorno per fare festa alla residenza sanitaria assistenziale Pasotti Cottinelli di Brescia, dove Emilia vive da un paio di mesi. Originaria di Torri del Benàco, sponda veronese del lago di Garda, ha lavorato tutta la vita, non si è mai sposata (i «morosi» li ha avuti, ma nessuno si è rivelato quello giusto), ha vissuto fino a 107 anni nella casa di famiglia, da sola, prima di andare a Negrar, sempre nel Veronese, e di arrivare infine a Brescia, pochi mesi fa, dove stanno nipoti e pronipoti. Emilia è la decana della Rsa ospitata in una villa del ’600 donata alcuni decenni fa dai vecchi proprietari alla Congrega della carità apostolica di Brescia. «Con lei, sono sei le ultracentenarie fra i 54 ospiti della nostra casa, dove l’età media è di 95 anni – racconta il dottor Sebastiano Ciaccio, direttore sanitario –. La signora Emilia è una donna sana, non ha malattie, ha una situazione cerebrale perfetta. Ha 110 anni, ma è come ne avesse almeno venti di meno». Un mese fa, cadendo, si è rotta il femore ed ora è costretta sulla carrozzina: «Ma contiamo nella possibilità della guarigione e della riabilitazione».È la Messa, stamani alle 10, ad aprire la sua festa: col cappellano della Rsa, celebrerà un sacerdote che viene da Torri. Poi, tempo permettendo, buffet sul prato della villa, un tempo in aperta campagna, nel corso del ’900 inglobata nella periferia di Brescia. Emilia ne ha avuti altri, di compleanni speciali. Come quello dei cent’anni, vissuto da pellegrina nei luoghi di Padre Pio, mentre a 98 anni era stata a Lourdes. «Padre Pio l’avevo visto ancora in vita, ma non avevo potuto parlargli, come mi sarebbe piaciuto. Mi aveva colpito molto com’era accogliente, caritatevole: dava l’impressione di una persona che ama davvero la gente». A Emilia piace viaggiare. A 104 anni ha chiesto di poter volare con l’elicottero: accontentata. A 105 e a 106 anni ha ripetuto l’esperienza: l’ultima, ricordano i nipoti, «è entrata nel Guinness». L’hanno portata sopra il suo Garda. «Bellissimo, ammirarlo dall’alto: così vedi com’è fatto davvero. Ma mi raccomando: non lago di Garda, ma Benàco, come dicono i latini: Benacus».In quel lago si specchia la sua storia. «Mio padre, pescatore; mia madre, casalinga, ma sapeva fare tutto, da lei ho imparato l’arte della sarta», racconta con voce serena, mentre lo sguardo sembra perdersi lontano prima di tornare a fissarti in volto. «Noi, quattro sorelle: ma solo la prima sposata». La fede l’ha respirata in casa: «I miei genitori erano molto cattolici, mio papà era nella confraternita di Torri. E la nostra famiglia è fra le più antiche del paese». Lungo quelle sponde ha visto scorrere la storia con la esse maiuscola. E il gossip del tempo, come le scorrerie di D’Annunzio dalle parti di Torri. Dentro la storia, Emilia ha cercato di starci appassionandosi alla politica e leggendo con gusto i giornali – per anni è stata abbonata di Avvenire e del settimanale diocesano Verona fedele, raccontano ancora i nipoti. Nella sua personale galleria di volti del ’900, spicca quello di Giovanni XXIII: «Uno di casa, senza pretese, umile». Come dovrebbero essere «quelli che comandano»: quanto ne avrebbe bisogno, «la nostra povera Italietta».
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