martedì 2 aprile 2013
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Non c’è vera Pasqua se il cuore dell’uomo non ne accoglie le grazie. E non c’è concordia umana possibile né progresso sociale stabile, se i benefici del Mistero pasquale non si riversano nell’intimo degli individui. Perché «tutto passa attraverso il cuore umano», ha ricordato ieri il Papa nell’introdurre la preghiera mariana del Regina Coeli, che caratterizza questo tempo liturgico fino a Pentecoste. Piccola cosa il nostro cuore ma decisiva, e non solo per la sopravvivenza fisica. Minuscolo bersaglio il cuore umano, per la “freccia” scoccata dall’annuncio angelico alle donne accorse al sepolcro di Cristo in quell’alba domenicale, ma guai se non accetta di farsi colpire. Guai quando il nostro cuore prova a ritrarsi o a spostarsi di lato, respingendo o rendendo vano il messaggio di misericordia che giunge dalla tomba vuota del Golgota.Francesco è Vescovo di Roma da meno di venti giorni e a buon diritto si va ormai conquistando, tra i tanti possibili titoli provvisori, quello di “Papa del cuore”. Già più volte, nei suoi interventi pubblici, ha fatto ricorso a questa parola–chiave: ora per additare il cuore del Padre, disposto sempre – e, diversamente da noi, senza stancarsi mai – ad accogliere chi si è allontanato da lui (primo Angelus in piazza san Pietro); ora per sollecitare la nostra disponibilità ad accogliere il suo amore smisurato (da ultimo, sabato scorso, nel messaggio per l’ostensione della Sindone, immagine «che non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore»); ora infine per confidare i suoi sentimenti profondi, come quando ha risposto al ragazzo detenuto di Casal del Marmo che gli chiedeva «perché sei venuto oggi qua», specificando per due volte che il suo gesto «è venuto dal cuore».Tema scontato, dirà qualche “esperto”, magari ricordando che il vocabolo in questione compare ben più di un migliaio di volte nella Bibbia. Eppure non può essere un caso se il leit motiv si è affacciato con tale frequenza in pochi giorni. Ieri mattina, del resto, Papa Bergoglio ha come tirato le somme di questo primo scorcio di magistero papale, rilanciando con accenti gioiosi la buona notizia della «vittoria di Cristo».Un trionfo «pieno e definitivo», che tuttavia deve fare sempre i conti con la libertà dell’uomo. A lui, infatti, Dio chiede “il permesso” di poterlo trasformare radicalmente, di farne anzi strumento di trasformazione per gli altri e per il mondo, però senza mai costringerlo. Perché Francesco certamente non ignora le parole del salmo: «Un baratro è l’uomo e il suo cuore è un abisso». Ma conosce altrettanto bene la profezia di Ezechiele: «Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne». E soprattutto ha presente la dolce rassicurazione dell’apostolo Giovanni: «Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa». Di qui anche la grande insistenza nell’invitare a non scoraggiarsi mai, qualunque cosa accada nella vita nostra e nella storia del mondo: anche il coraggio, e non solo etimologicamente, è questione di cuore. Vale la pena, insomma, di non passare troppo rapidamente oltre questa breve meditazione del Papa. Una riflessione, ha sottolineato, ispirata alla liturgia di ieri, che chiede per i fedeli la capacità «di esprimere nella vita il sacramento che hanno ricevuto nella fede». Magari la Pasqua del 2013 – la prima Pasqua con Francesco – potesse per tanti di noi «diventare vita»! In modo da sprigionare il suo «potenziale di rinnovamento enorme», che non investe solo «l’esistenza personale» e i rapporti in famiglia, ma anche «le relazioni sociali». Solo nello scrigno dei sacramenti pasquali si può attingere infatti la forza necessaria per «uscire, uscire da noi stessi» – ecco l’altro grande tema ricorrente dei primi interventi papali – per divenire «strumenti della grazia di Cristo, come tralci della vite che è Lui stesso, animati dalla linfa del suo Spirito».
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