venerdì 14 febbraio 2014
​​L'Ue apre al mais 1507. Ma 12 Paesi, tra i quali l'Italia, fanno resistenza
di Andrea Zaghi 
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Ancora una volta la questione degli Organismi geneticamente modificati (Ogm) scuote l’Europa. Nella mischia confluiscono posizioni ideologiche, cavilli di legge, dati scientifici, spinte commerciali. A scatenare l’ultimo scontro è stato il via libera, ormai praticamente certo, della Commissione Ue alla coltivazione di un nuovo tipo di mais geneticamente modificato: il 1507 prodotto dalla Pioneer, una delle storiche aziende del comparto sementiero mondiale. Una decisione che ha diviso i Paesi in Europa. Perché? Cerchiamo di capirlo. Ogni volta che una nuova coltivazione deve essere introdotta in Europa scattano una serie di procedure per garantire la salute dei cittadini. Concluso favorevolmente questo percorso, l’unica istituzione che può ancora bloccare l’autorizzazione alla coltivazione è il Consiglio composto da tutti gli Stati. In questo caso specifico, però, non è stata presa alcuna decisione e così, dopo 13 anni, 6 pareri scientifici favorevoli al "nuovo" Ogm e una sentenza della Corte di giustizia, la Commissione Ue autorizzerà la coltivazione del mais 1507. Un passaggio al quale 12 Paesi, tra i quali l’Italia, hanno crecato di opporsi scrivendo a Bruxelles. Ma inutilmente. La Commissione europea ha risposto ieri che non vi sono più margini, argomentando che non sono stati portati elementi nuovi e che in ogni caso le semine «potranno avvenire solo in Spagna» per ragioni climatiche. Questo perché in ogni caso agli Stati membri è lasciata libertà di scelta sulla coltivazione di questo tipo di piante. La pannocchia transgenica, insomma, si avvicina alle tavole degli europei. La partita non è finita del tutto, e può riaprirsi il 3 marzo prossimo, quando il Consiglio discuterà ancora il tema. Ma l’ultima vicenda legata all’ennesimo mais transgenico ripropone con forza la questione degli organismi geneticamente modificati con tutta la sua complessità tecnica, scientifica e morale. L’Europa attualmente è divisa in tre blocchi. Da un lato i Paesi anti-Ogm: al momento Italia, Francia, Grecia, Lussemburgo, Romania, Olanda, Irlanda e Malta. In posizione attendista ecco invece Germania (la cui astensione è stata però determinante ai fini del via libera), Belgio, Portogallo e Repubblica Ceca. A favore Spagna, Gran Bretagna, Finlandia, Svezia, ed Estonia. Di questi Paesi, tuttavia, come ha fatto notare il ministro lussemburghese Jean Asselborn, solo uno, la Spagna, potrà coltivare il mais Ogm, perché negli altri il clima freddo non lo consente. Al di là degli schieramenti in campo vi sono delicati e complessi problemi tecnici legati alla coltivazione, all’utilizzo dei prodotti oltre che a una ricerca che continua a sperimentare nuove soluzioni. Con la sigla Ogm si identifica un organismo con il patrimonio genetico modificato tramite l’utilizzo di tecniche di ingegneria genetica, e che quindi ha subito, tramite esse, l’aggiunta, l’eliminazione o comunque la modifica di elementi genici. Per poter fare operazioni di questo tipo esistono ormai varie strade: la ricombinazione del materiale genetico, l’introduzione diretta in un organismo di materiale ereditabile preparato al suo esterno, la fusione cellulare e altro ancora. Non è ancora però ancora stata data una risposta definitiva circa le ricadute future di queste operazioni sugli organismi e sull’ambiente. Di fatto, non è chiaro nemmeno quali siano le procedure migliori e più affidabili per stabilire gli effetti a lungo termine del consumo di alimenti contenenti Ogm. Intanto però, oltre al mais, nei laboratori si sta facendo un po’ di tutto. È il caso, per esempio, del pomodoro viola ottenuto (dopo oltre 12 anni di ricerche e sperimentazioni condotte e finanziate dall’Europa) con l’innesto di geni di un fiore, e che dovrebbe avere proprietà anti infiammatorie e di prevenzione dei tumori, ma che ad oggi può essere coltivato solo in Canada e venduto negli Usa. Un prodotto che, fra l’altro, pare restare fresco a lungo, con ovvie ricadute economiche e commerciali. Ma è anche il caso delle mele che non invecchiano, ottenute dalla canadese Okanagan Specialty Fruits. Si tratta delle Arctic Apple, cioè mele Golden Delicious e Granny Smith manipolate con un gene "anti-macchia" che consentirebbe di allungare la scadenza delle confezioni di frutta già sbucciate e porzionate. Dietro tutto ciò non c’è solo uno spirito di ricerca, ma anche la volontà di aprire nuovi mercati: le materie prime Ogm dovrebbero costare meno di quelle non modificate, oppure possedere caratteristiche tali da facilitarne la lavorazione e la conservazione. «Ci sono forti pressioni da una parte e dall’altra. C’è una battaglia ideologica che va avanti da 20 anni di cui noi ricercatori facciamo le spese – ha confessato di recente uno scienziato –. Da un lato le posizioni intransigenti di ambientalisti e di molte associazioni di agricoltori, dall’altro gli interessi di multinazionali specializzate sulle colture transgeniche». Con il risultato che spesso le nuove tecnologie finiscono nella mani di grandi aziende private, fuori dal controllo pubblico. Di fatto, comunque, l’effettiva coltivazione degli Ogm nel mondo è piuttosto limitata. In Europa si parla di circa 148mila ettari coltivati a mais in Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania. Nel mondo gli ettari coltivati sarebbero circa 175 milioni sparsi fra Usa, Canada, Brasile, Argentina e Paesi in via di sviluppo. Più complicato e difficile stabilire in quali alimenti gli Ogm finiscono. In Europa la loro commercializzazione sarebbe anche permessa, ma è obbligatorio indicare la presenza in etichetta di queste materie prime: di fatto, tuttavia, non esiste ad oggi un mercato di questo tipo. La realtà è che gli Ogm in commercio riguardano pochissimi prodotti (mais, soia e cotone), mentre in Europa e nel mondo i Paesi che ne consentono la coltivazioni sono pochi, anche se importanti. Sulla questione del mais Pioneer, così come in generale sugli Ogm in agricoltura, anche in Italia la situazione è diversificata. Da un lato le posizioni di forte opposizione delle associazioni dei coltivatori. «Gli Ogm – sostiene la Coldiretti – non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale e alimentare, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico della tipicità, della distintività e del Made in Italy». La Confederazione italiana agricoltori Cia si dice contraria in quanto l’utilizzo degli Ogm «può annullare la nostra idea di agricoltura, cioè l’unico vantaggio competitivo dei suoi prodotti sui mercati: quello della biodiversità». La Confagricoltura, che rappresenta le imprese di maggiori dimensioni, è invece favorevole al nuovo mais Pioneer: «Non c’è mai stato uno studio scientifico che abbia dimostrato danni per l’ambiente, l’agricoltura e l’uomo, ma solo dichiarazioni di principio. Serve apertura al dibattito, lasciando alla comunità scientifica le opportune valutazioni di merito». L’Associazione italiana agricoltura biologica (Aiab) ne fa anche una questione di democrazia: le coltivazioni Ogm sono respinte dalla maggioranza dei cittadini e delle aziende agricole del continente. Il 76% degli italiani, ad esempio, per la Coldiretti è contrario. Il nostro Paese d’altronde è leader nella produzioni alimentari di qualità e ha il maggior numero di prodotti a denominazione di origine (Dop/Igp) riconosciuti in Europa: ben 4.698. La diffusione di coltivazioni Ogm potrebero imprimere un cambio di rotta radicale alla nostra agricoltura.
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