sabato 20 aprile 2013
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"Vorrei mettermi non avanti a voi come capofila, e neppure dietro di voi, ma in mezzo a voi. Insieme al popolo e cantare. Vi auguro buona salute e prosperità, soprattutto fate in modo che coloro che vi incontrano siano felici di sapere di essere vostri amici». Così Tonino Bello ai giovani, venuti per cantargli lo spiritual "Freedom" come augurio per il suo compleanno, un mese prima del suo «giorno pasquale». Ogni momento di riflessione su di lui è, per me, un evento di grazia e un appello alla responsabilità. Ciò che di lui leggo e medito mi arriva sempre col profumo della novità, col sapore della bontà, con la freschezza dell’acqua pulita, con l’odore del mare (dell’incrocio dei mari nel Salento profondo), con lo sguardo di tanti padri e madri, figli e figlie della famiglia degli operatori di pace. Capitini la definirebbe «compresenza dei vivi e dei defunti». Io la chiamo «corpo mistico di Cristo, nostra pace». Assieme ad altri (Mazzolari e Giovanni XXIII, Luther King e Bonhoeffer, La Pira e Turoldo, Camara e Romero, Giovanni Paolo II e Martini, Teresa di Calcutta e Marianela García, Annalena Tonelli e Rosemary Lynch), sento di vivere con lui un’amicizia che mi fa crescere, respirare ed espandere. Amico delle mie giornate, lo "vedo" operare dentro l’azione per il disarmo, la nonviolenza attiva, il bene comune, la costruzione della famiglia umana, la pratica di stili di vita sobri e solidali, la vita ecclesiale. Intreccio la sua memoria a quella del Concilio e della Pacem in terris e all’inizio del nuovo pontificato. Nella stupenda preghiera del 1982 ("La lampara") emerge una vita di fede («la forza di osare di più, la gioia di prendere il largo»), di speranza («spalancare la finestra del futuro, progettando insieme») e di carità («per chi ha fame e non ha pane e per chi ha pane e non ha fame»). Don Tonino ha ragione: «La nonviolenza è una cultura ancora debole» ma «la pace è un’arte che si impara»: un itinerario formativo permanente. Ripensando ai quattro pilastri giovannei della casa della pace, è possibile attuarla come ricerca della verità, soffio di libertà, fame e sete di giustizia, potere dell’amore o «convivialità delle differenze» che affonda le sue radici nel mistero trinitario: uguaglianza, differenza, relazione. Tutti uguali, tutti differenti, tutti in relazione. E ognuno può fare qualcosa. Questo forse ci manca: risvegliare la fresca fiducia nella possibilità di cambiare; sentire la pace non solo come dovere, ma come piacere di vivere assieme come membri della famiglia umana; praticarla non solo come lotta tenace, a volte troppo allarmata, ma come movimento di amicizia liberatrice, come impegno alimentato dalla sapienza del sorriso. Ce lo insegna il disegno di un bambino di Molfetta che immaginava il suo vescovo in piedi su una barca a vela, in una mano la croce e nell’altra la fisarmonica. Quasi l’icona della passione nell’annunciare Cristo «nostra pace», pronto a «mutare il lamento in danza» (Sal. 29). In alcune canzoni a lui care (dal "Cielo in una stanza" a "Per fare un tavolo", dall’"Isola che non c’è" a "Freedom"), avverto un’inquietudine creativa da seminare e curare con fiduciosa pazienza. Sento molto stimolante la coincidenza tra l’elezione di papa Francesco e la memoria di don Tonino. Tra i due sono molte le vicinanze tematiche: una «Chiesa del grembiule» per la lavanda dei piedi; una comunità accogliente ma pronta a «uscire da sé»; la custodia del creato e della bellezza; la pace come dono e impegno; la spiritualità della gioia; la tenerezza e la profezia. Don Tonino mi manca (manca a molti). Ma la sua assenza non può bruciare se accendiamo «il roveto ardente della pace». Anche noi, come lui, non entreremo nella terra promessa. Come Mosè vivremo un tramonto, quando sarà, «lontano dalle luci della ribalta. Col cuore ancora gonfio di passione per la vita. Cogli occhi fiammeggianti nel riverbero di cento ideali. E col dito puntato verso la terra dei miei sogni» ("Ad Abramo e alla sua discendenza", La Meridiana 2000, 52). Don Tonino non è solo in mezzo a noi. È davanti. Si fa nostro compagno di strada se ci mettiamo in cammino verso Colui che viene a fare nuove tutte le cose. Beati non perché pensiamo di essere arrivati ma perché stiamo partendo. Stiamo camminando.Vicepresidente di Pax Christi Italia
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