domenica 20 maggio 2012
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Quante volte abbiamo sentito dire che oggi, di fronte alla più estesa e devastante crisi economica dopo quella del 1929, i temi eticamente sensibili non interessano più a nessuno? Se manca il lavoro, se le tasse diventano un incubo, se a rischiare la bancarotta è una nazione intera, cosa può importare una legge sul fine vita o sulle coppie di fatto? Queste affermazioni possono apparire ovvie e ragionevoli: eppure non sono vere. Nel pieno della crisi, i leader si preoccupano dei cosiddetti 'nuovi diritti' quanto delle questioni economiche, e forse persino di più. Barack Obama e François Hollande, due personalità assai diverse, in contesti diversi, hanno deciso entrambi di rilanciare sui matrimoni gay (Hollande anche sull’eutanasia); uno l’ha annunciato subito dopo aver vinto le elezioni, l’altro aprendo di fatto la propria campagna elettorale. Stefano Rodotà parla di una «nuova stagione dei diritti», e anche in Italia, effettivamente, questa ondata si vede: unioni di fatto, legge sull’omofobia, fecondazione assistita e testamento biologico sono questioni su cui ogni giorno, ormai, ci sono iniziative in Parlamento e nei tribunali, e talvolta anche dichiarazioni di autorevoli esponenti dell’attuale governo, che essendo tecnico, dovrebbe in teoria tenersi lontano da tematiche così controverse. La verità è che, qualunque sia la situazione economica, le persone non smettono di considerare le relazioni, gli affetti, il dolore di una vita che si spegne e la gioia per una che nasce come gli eventi più importanti della propria vita, e su questi temi si coinvolgono, giudicano, scelgono da che parte stare. È impossibile ormai fare politica senza avere una chiara visione antropologica, perché ogni scelta di governo ne viene influenzata profondamente. Decidere per il matrimonio omosessuale o per la fecondazione eterologa, per l’eutanasia o per la diffusione delle diverse 'pillole del giorno dopo' fra le minori, vuol dire avere in mente una società dove le reti parentali e i legami comunitari sono indeboliti, dove l’individuo è apparentemente trionfante e autodeterminato, ma in realtà solo e incerto, privo di sostegno e di rapporti stabili. Una società in cui la longevità, che è stata finora il parametro fondamentale per misurare il benessere di un Paese, può trasformarsi in una 'minaccia sociale', come ha denunciato il Fondo monetario internazionale, perché rende insostenibile l’equilibrio dei sistemi di welfare. La crisi economica, quindi, non mette al riparo dalla rivoluzione antropologica in atto, anzi l’accentua, e richiede un sovrappiù di vigilanza, sia da parte dell’opinione pubblica, che da parte dei politici. I quali non possono rinunciare a intervenire e a entrare nel merito e nel dettaglio, come è stato peraltro fatto con la legge 40, nonostante, per un cattolico, la procreazione assistita semplicemente non sia ammissibile. Per questo, di fronte alla possibilità che la Corte Costituzionale si esprima a favore della fecondazione eterologa, ho scelto di scrivere una lettera a tutti i parlamentari, per ricordare che, nel caso in cui la Consulta modifichi la legge, questa dovrà tornare in Parlamento. Non sarebbe accettabile che il varco eventualmente aperto da una sentenza si trasformi in un 'tana libera tutti', senza più regole né argini, o che si ricorra a decreti ministeriali senza aprire una discussione ampia che coinvolga coloro che rappresentano la volontà popolare. Come è già stato sottolineato su questo giornale, infatti, si aprirebbero – e noi ci auguriamo che non sia così – questioni gravi (dall’anonimato del donatore al diritto del figlio a conoscere le proprie origini, e molto altro) su cui solo il Parlamento potrebbe decidere, e su cui i cittadini devono essere resi il più possibile consapevoli, attraverso il dibattito pubblico. È questa la buona politica in cui continuiamo a credere.
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