lunedì 3 marzo 2014
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Seguendo un copione, prevedibile e stantio, il Cremlino ha risposto alla richiesta di «ristabilire la calma e la pace» avanzata dal premier della Repubblica autonoma di Crimea, e la Camera alta della Duma ha approvato all’unanimità l’invio di truppe nella confinante Ucraina, proposto dal presidente Putin. Nei giorni scorsi, le nuove autorità ucraine erano già state bollate come «fasciste» e «al soldo degli stranieri»: se non fosse per l’assenza del richiamo all’«aiuto fraterno nel nome dell’internazionalismo socialista», sembrerebbe di essere tornati ai tempi di quella “gloriosa” Unione Sovietica la cui caduta il presidente russo definì la «catastrofe del XX secolo».In realtà, le truppe russe sono già in Crimea da alcuni giorni e i misteriosi uomini armati che avevano occupato gli aeroporti e i palazzi delle istituzioni nella capitale della Crimea altri non erano che marinai della Flotta russa di base a Sebastopoli. Seimila uomini rappresentano una forza sufficiente a chiarire a Kiev che Mosca non intende fare marcia indietro, ed è disposta a trasformare qualunque forma di resistenza ucraina nel pretesto per un’iniziativa in più grande stile. Probabilmente, il piano di intervento era stato preparato mentre la situazione nella capitale precipitava in una direzione opposta a quella macchinata dal Cremlino con l’aiuto di Janukovich, il presidente deposto, un “Quisling” ucraino che ha sulla coscienza un centinaio di morti (per ora) e milioni di dollari sottratti dalle esauste casse dello Stato. Proprio l’evoluzione di queste ultime ore rafforza l’ipotesi che il rifiuto di firmare il Trattato di associazione all’Unione, opposto da Janukovich all’ultimo minuto, sia stato in realtà un vero “golpe bianco”, concordato con il Cremlino.La situazione è tesissima: mentre le autorità di Kiev minacciano di mobilitare l’esercito per rispondere all’invasione russa, le cancellerie mondiali sono alla ricerca di una soluzione che allontani sia lo spettro di una guerra tra Russia e Ucraina sia quello di una guerra civile. In attesa della riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la Duma ha chiesto che il Cremlino richiami l’ambasciatore a Washington. La Casa Bianca, peraltro, ha già duramente ammonito il Cremlino che l’aggressione nei confronti dell’Ucraina «avrà un costo e conseguenze». L’Unione e i principali Paesi europei, a loro volta, hanno ribadito l’intangibilità dei confini ucraini e la condanna dell’atto di aggressione.Putin sa che l’occupazione della Crimea è ormai un fatto compiuto, dal quale sarà quasi impossibile farlo recedere. E le notizie di incidenti tra filorussi e fedeli al governo di Kiev nelle province orientali del Paese inducono a ritenere possibile che l’Ucraina possa scivolare in un’aperta guerra di secessione, che la Russia osserverebbe formalmente da lontano.È comunque impensabile che si possa contrastare sul piano militare un’eventuale ulteriore aggressione russa dell’Ucraina: Putin lo sa benissimo e ha scelto lucidamente, da settimane, la via dell’escalation. La prudenza europea (e a questo punto anche americana) non deve però essere scambiata per condiscendenza: così da convincere Putin che l’ipotesi di una restaurazione di Janukovich (o di un altro fantoccio filorusso) a Kiev sia possibile. Il “fatto compiuto” di Crimea non deve diventare un trampolino o un via libera per una nuova aggressione. Realismo non significa resa di fronte alla prepotenza, occorre ricordarlo ai tanti sensibili alle “motivazioni” russe. Eppure, in nome del realismo, occorre riconoscere che considerare gli ex confini interni dell’Urss alla stregua di confini nazionali “storici” fu una scelta contingente, la sola possibile ai tempi della dissoluzione di quella che era stata la superpotenza comunista. Non prenderne atto oggi significherebbe correre il rischio di fare dell’Ucraina una nuova, gigantesca Bosnia Erzegovina. D’altronde, è decisivo che l’aggressione militare russa paghi un duro prezzo politico, affinché non si ripeta.In tal senso, occorre riconoscere che la dipendenza europea dalle forniture di gas russo non è più strategicamente tollerabile. Trovare rapidamente fonti di approvvigionamento alternative, non solo costituirebbe un doveroso esercizio di realismo e di prudenza, ma rappresenterebbe anche il giusto prezzo da imporre a Mosca per la sua aggressione.
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