sabato 7 febbraio 2015
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La missione di Angela Merkel e Francois Hollande, che si sono recati a Kiev e Mosca nella speranza di far accettare alle parti un accordo che contempli almeno un 'cessate il fuoco' e un arretramento delle armi pesanti, ha l’apparenza e certo anche le intenzioni di uno slancio di pace ma è, nella sostanza, l’ennesimo disastro politico dell’Europa unita.  Intanto perché parlare di Europa, in questo caso, è ormai quasi solo un’abitudine, un modo di dire. A muoversi sono i leader di due nazioni specifiche, che proprio dalla loro specificità traggono l’autorevolezza che consente certe iniziative. L’Europa ha una figura responsabile della politica estera e di sicurezza, oggi l’italiana Mogherini, ma a presentarsi al presidente ucraino Poroshenko e a quello russo Putin sono stati, appunto Merkel e Hollande. L’alto rappresentante europeo – Mogherini appunto – nelle stesse ore incontrava il vicepresidente americano Biden e il presidente della Commissione europea Juncker. Per parlare di Ucraina, certo, ma mentre i giochi si facevano altrove.  E non c’è solo questo. L’iniziativa diplomatica francotedesca va nella giusta direzione ma con un anno di ritardo. Questa specie di trattativa a tre (Europa, Russia e Ucraina) avrebbe dovuto essere varata giusto nel febbraio 2014, quando la 'rivolta di Euromaidan' stava facendo crollare il regime filo-russo di Janukovich.  Perché già allora erano chiare due cose: da un lato, il cordone ombelicale con Mosca, che teneva l’Ucraina in un bagno di corruzione e assistenzialismo parassitario, non poteva reggere al disgusto e alla voglia di novità della popolazione; dall’altro, la situazione di Russia e Ucraina (la lunga storia comune, il 20% di popolazione russofona e russofila dell’Ucraina, l’importanza strategica del Paese rispetto all’economia di gas e petrolio della Russia) non permetteva forzature. Il dilettantismo di Ashton e di Barroso, invece, produsse allora l’esatto contrario. I vertici europei correvano a frotte a Kiev a incitare i manifestanti davanti alle tv, il revanscismo anti-russo (comprensibile, ma politicamente devastante) era esaltato, Mosca trattata come l’ultimo ostacolo alla democrazia in Europa. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: dopo quasi 6 mila morti e un milione di sfollati, Merkel e Hollande trattano con Ucraina e Russia, sperando a questo punto non di risolvere la situazione, ma di salvare qualche vita.  Oggi l’Europa, che ha sottovalutato la portata della crisi ucraina, trema alla prospettiva di un allargamento del conflitto. Giusto. Ma ancora una volta, ci siamo messi nelle condizioni di dipendere dagli altri in casa nostra.  Dalla Russia, ovviamente, ma ancor più dagli Usa. Perché il Cremlino di Putin, che ha accettato subito l’installazione di basi Nato fino a 120 chilometri da San Pietroburgo, difficilmente aprirà un altro fronte nel Baltico, mentre la Russia è in piena recessione per ottenere, al più, un’espansione territoriale di nessuna importanza e rovinosa gestione. Un simile scenario è forse solo nella testa dell’ex segretario generale della Nato Rasmussen, che lo evoca con l’unico risultato di far salire ancor più la tensione... E intanto la Casa Bianca, in una sinistra riedizione della disastrosa strategia già applicata alla Siria, medita di fornire armi a Kiev, cioè di rinfocolare il conflitto. L’azzardo è insensato.L’Ucraina manca di tutto tranne che di armi, è affossata dal disastro economico ereditato da Janukovich, amputata delle relazioni economiche con la Russia e strangolata dalle condizioni capestro imposte dal Fondo monetario internazionale. La verità è che avrebbe piuttosto bisogno di pace, accordi con i vicini e aiuti rapidi e concreti. Ma gli Usa sono lontani e, comunque vada, toccherà a noi europei scontare le conseguenze della crisi e della guerra, che purtroppo infuria. Al momento, finanziamo le forniture di gas che la Russia garantisce all’Ucraina e che l’Ucraina non può pagare, sosteniamo il costo delle sanzioni economiche contro la Russia, portiamo la responsabilità di trovare una soluzione politica al conflitto e preghiamo che lo scontro non dilaghi.  Potevamo fare peggio? No. Ma bisogna che cominciamo a far meglio. Rovesciando un gioco che gioco non è più da un pezzo, e non solo per iniziativa (e per calcolo) di due leader su ventotto.
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