martedì 22 novembre 2011
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«Africa, sii sempre più sale della terra e luce del mondo». Le parole con cui il Papa, domenica pomeriggio, si è congedato dal Benin contengono molto più che un auspicio beneagurante. Sono anzi l’espressione dello spirito profondo del suo secondo viaggio nel Continente e dell’esortazione postsinodale Africae munus che ha consegnato alla Chiesa africana. Africae munus  significa «il compito dell’Africa».Un compito che, nei tre giorni trascorsi tra Cotonou e Ouidah, Benedetto XVI ha individuato non solo nel necessario percorso di crescita della gente africana, ma soprattutto nella sua capacità di diventare protagonista del proprio riscatto e addirittura faro per tutto il pianeta.A prima vista tutto ciò potrebbe suonare strano, specie se si considera che questa terra è tuttora segnata da guerre, fame, sottosviluppo e malattie endemiche. Ma proprio qui è la novità profonda di una visita e di un documento, che hanno mostrato quanto sia diverso, e quasi rivoluzionario, l’approccio di Papa Ratzinger alle complesse problematiche africane. Infatti, tanto nelle molteplici tappe della tre-giorni beninese, quanto nelle pagine del testo postsinodale, l’accento prevalente non è andato sulla denuncia dei mali e sulla conseguente richiesta di aiuto da parte della comunità internazionale (c’è stato anche questo, ed è ovvio che per il Pontefice la solidarietà del mondo ricco resti ancora indispensabile). Egli tuttavia ha insistito molto di più sulle responsabilità e sulle possibilità dell’Africa stessa di sfruttare le proprie risorse umane e spirituali. Che sono «giacimenti» di non minor valore rispetto a quelli naturali e che «chiedono solo di sbocciare con l’aiuto di Dio e la determinazione degli africani».In tal senso, viaggio e Africae munus sono l’espressione dell’atteggiamento paterno e non paternalistico di chi vuole insegnare a pescare e non solo offrire del pesce. Perciò aprono prospettive di lavoro secondo una mentalità completamente nuova. Diciamolo francamente. Oggi dell’Africa si interessano solo i cinesi (per evidenti motivi commerciali e di sfruttamento delle risorse del sottosuolo) e la Chiesa Cattolica, che però non ha alcun interesse, se non quello dell’evangelizzazione e della promozione umana e perciò è da sempre al fianco dei poveri, degli ammalati, degli ultimi e spesso ha pagato (e continua a pagare) un tributo altissimo in termini di martirio.Questo però le conferisce una forza straordinaria (il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani) e una conoscenza della realtà continentale che nessun altro oggi al mondo può vantare.cioè il compito, di diffondere ovunque «autentici valori, capaci di ammaestrare il mondo». In tal modo incoraggiamenti come «Africa alzati», definizioni come «continente della speranza» e «polmone spirituale dell’umanità» non sono affatto belle frasi a affetto, ma il frutto di una profonda convinzione basata sui fatti. Papa Ratzinger, dopo l’ascolto attento della voce dei vescovi africani, sa bene che nell’animo, nel cuore e nella mente del miliardo e passa di uomini, donne e bambini del grande continente c’è un’apertura al senso religioso della vita e alla trascendenza che l’Occidente industrializzato rischia di smarrire. Sa che qui vita e famiglia sono – pur con tutti i problemi che le insidiano – ancora doni molto apprezzati e che la speranza non è solo un vago sentimento. Ecco perché indica questa terra; da molti considerata un problema, come una «riserva di umanità». L’anno che volge al termine verrà ricordato anche per le cosiddette «primavere arabe» (pur con tutti i limiti che gli scontri di questi giorni in Egitto contribuiscono ad alimentare).Benedetto XVI auspica in pratica che una primavera autentica si estenda dal Nordafrica fino a Città del Capo. E che – perché no? – contagi positivamente anche altri continenti oggi in profonda crisi.
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