sabato 22 novembre 2014
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Si è concluso nei giorni scorsi, ad Oslo, l’incontro internazionale su «libertà di religione o di credo», cui ho partecipato con la collega Marina Berlinghieri. L’incontro, promosso dalla Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa internazionale, che tra l’altro pubblica un Rapporto annuale sul tema, ha visto riuniti parlamentari provenienti da vari Paesi.  Un confronto reso ancora più attuale da quanto va accadendo in numerosi Stati. Si pensi al terribile omicidio consumato in Pakistan e alla persecuzione dei cristiani. I modelli tra Stati e confessioni religiose possono essere diversi: libertà, uguaglianza, separazione tra confessioni religiose e Stati, secondo il modello della libertà religiosa americana, oppure lo schema basato su intese come in Italia o in Germania. Decisiva in ogni caso è una corretta laicità che dovrebbe essere acquisizione di ogni ordinamento costituzionale.  Così non è. Assistiamo a fenomeni che portano a ignorare e a relativizzare il fattore religioso dei popoli o a piegarlo a una funzione strumentale, in una sorta di “religione civile”. In altri casi si assiste al risorgere di forme di intolleranza che distruggono la pacifica convivenza.  Per contribuire a contrastare le violenze legate all’appartenenza religiosa, è stata firmata, significativamente al Centro Nobel per la Pace di Oslo, la “Carta per la libertà di religione o di credo”, con l’obiettivo di attuare l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani in cui si afferma che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”, e la libertà di manifestare la propria religione “nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”.  Non è l’unica iniziativa, altre ne esistono e vanno sostenute. Nel documento si ribadisce come questa libertà sia un diritto umano inalienabile e unico, che per essere pienamente goduto richiede che vengano rispettati altri diritti, come la libertà di espressione, riunione, educazione e movimento.  I firmatari si impegnano, attraverso l’azione parlamentare, a promuovere questa libertà per tutte le persone, a incrementare la cooperazione globale, condividendo le informazioni e favorendo le risposte. Da parte nostra, inoltre, intendiamo presentare sul tema una risoluzione in Parlamento.  Insieme alla sottoscrizione della Carta, dall’incontro in Norvegia sono partite tre lettere: al Primo ministro della Repubblica islamica del Pakistan e al Presidente della Repubblica dell’Unione del Myanmar, con la richiesta di impegni concreti per il rispetto della libertà religiosa e di credo nei rispettivi Paesi; la prima firmata anche da una parlamentare del Pakistan, pur appartenente al partito al governo. L’altra lettera, indirizzata al Santo Padre, perché – nello spirito di Assisi – si faccia promotore di un incontro tra i governanti e i leader religiosi per promuovere la pace. La prospettiva è quella di lavorare, a tutti i livelli, per la conoscenza e l’integrazione.  Da parte sua l’Italia può svolgere un ruolo importante nell’ampliare i contatti del gruppo informale agli Stati arabi del sud del Mediterraneo, del Mashrek e fino all’Iran.  In questo quadro, va intensificata la sensibilizzazione all’interno del Parlamento italiano e nel contesto europeo, anche sulla scorta delle normative comunitarie, in particolare l’art. 22 della carta di Nizza e l’art. 17 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ( Tfue) che declinano la libertà religiosa sia come diritto individuale e come rispetto del pluralismo in questa materia, che come diritto collettivo in riferimento alle differenti confessioni religiose.  L’Europa ha un ruolo culturale e politico da spendere con efficacia maggiore quanto più la sua politica estera sarà comune. È necessario che essa recuperi la sua “vocazione” originaria, la sua storia, le sue radici culturali, nel nuovo ruolo che può svolgere sulla scena planetaria.
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