venerdì 6 marzo 2015
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Grande emozione più che sorpresa. E tanta reciproca riconoscenza e gratitudine. Basterebbero queste note per raccontare un evento eccezionale nella vita di una persona - monsignor Giuseppe Benvegnù Pasini, già presidente di Caritas italiana e attualmente della Fondazione Emanuela Zancan - e di un’istituzione che, di riflesso, ne è stata felicemente coinvolta e ulteriormente sollecitata nel proprio impegno: l’Opera Immacolata Concezione (OIC) di Padova, nel cui hospice Pasini vive la propria malattia. Il fatto straordinario è la telefonata di papa Francesco: martedì 3 marzo, alle 12.01, il cellulare di Pasini squilla. «Sono papa Francesco, mi ha dato il suo nome il vescovo di Agrigento, il cardinale Francesco Montenegro, per sapere come si sono svolti i fatti». Monsignor Pasini è solo, scoppia in lacrime e il Papa rimane in silenzioso ascolto. A raccontare quanto accaduto è lo stesso prete padovano, 82 anni, una vita spesa per la carità, per la Chiesa dei poveri e per i poveri.  Un impegno a volte 'scomodo' nella Chiesa stessa, così come lo è stato per il suo predecessore in Caritas italiana e Fondazione Zancan, monsignor Giovanni Nervo, e così anche per l’amico fraterno Montenegro con cui ha condiviso la fatica della malattia.  Il Pontefice vuole sentire dalla sua voce 'quei fatti' che lo riguardano direttamente, di cui ha avuto notizia dal neocardinale vescovo di Agrigento. «Santità, la sua elezione è stata per me liberante», risponde Pasini al telefono e racconta: «Quando la elessero Papa, io ero in gran confusione, poi ebbi un’illuminazione e pensai: 'offro la mia sofferenza a Dio, per il Papa, perché possa compiere il suo enorme compito di riforma della Chiesa'. Dopo questo fatto tutto mi fu più chiaro: la mia malattia non cadeva nel vuoto ma aveva un compito nella Chiesa e nel mondo. Quando l’offerta è al Signore, tutto diventa più significativo. Non soffrivo invano, tutto si univa alla sofferenza di Cristo. Ora ho uno scopo per cui pregare e per cui soffrire». Francesco ascolta silenzioso, poi conclude la telefonata ringraziando, benedicendo e con l’invito: «Preghi ancora:  preghi per me, per il Papa». Questo impegno e questa riconoscenza nei confronti di un Papa in cui ritrova forte sintonia sui valori della carità e della giustizia, monsignor Giuseppe Pasini ha voluto testimoniare, presentandosi alla stampa debilitato nel fisico, ma consolidato nella certezza che «ora tutto è più chiaro», anche il dolore, tanto da sentirsi «in mani sicure». Confida poi di aver scritto una lettera a Bergoglio già nel gennaio 2014: «Le scrivo, caro papa Francesco, per dirle il mio grazie per la 'rivoluzione' che sta promovendo nella Chiesa e nel mondo, incentrata sull’amore misericordioso di Dio, sulla pratica della carità cristiana, sulla scelta preferenziale dei poveri e sul dovere di eliminare le cause della povertà […] vedendola all’opera già nelle prime settimane del suo ministero, ho concluso di poter ripetere con serenità il mio nunc dimittis, perché lo sviluppo della carità nella Chiesa era stato affidato dal Signore alle mani giuste, cioè alla persona che poteva darle il massimo impulso, annunciava l’amore di Dio con la parola, ma anzitutto testimoniando con la vita».
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