mercoledì 1 maggio 2024
In un'area dove la carenza di lavoro è forte si lavora su formazione, inserimento e imprese sociali. L’arcivescovo Baturi: «Occorre recuperare il senso cristiano del lavoro
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Favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, puntare alla rete e all’attrattività, raccontare le produzioni e tradizioni locali in modo innovativo. Sono alcune soluzioni possibili per cercare di rilanciare il lavoro in Sardegna, dove le criticità sono tante. «La prima emergenza – spiega l’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, segretario generale Cei e vescovo delegato della Conferenza episcopale sarda per i problemi sociali e del lavoro – è recuperare il senso del lavoro, anche in termini cristiani: un’azione con cui contribuiamo a costruire un mondo più umano, inserendoci nella comunità, trasformando noi stessi e coloro con cui siamo in contatto. Ancora, occorre aiutare i lavoratori affinché la loro attività sia capace di mantenere sé stessi e la propria famiglia. Inoltre, il lavoro deve inserirsi nella cultura globale di questa regione ed essere visto come una questione di solidarietà tra generazioni».

In una Regione dove la carenza di lavoro è forte, soprattutto nella provincia del Sud Sardegna per i giovani dai 15 ai 24 anni (il cui tasso di disoccupazione è balzato dal 10,3% del 2022 al 36,7% del 2023), si registra «una diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie e un impoverimento delle comunità locali – spiega il responsabile del Servizio studi e ricerche Caritas Sardegna, Raffaele Callia –: in diversi territori ciò ha portato a una consistente caduta del reddito medio e alla crisi di nuove categorie sociali, fino all’ampliamento del sovraindebitamento». Uno scenario in cui la Chiesa è in prima linea. «Cerchiamo di rendere le persone indipendenti, aiutandole a trovare lavoro, indispensabile per l’autonomia – spiega il delegato regionale Caritas don Marco Statzu –; ci aspettiamo che siano fatte politiche efficaci di inclusione lavorativa, con un necessario potenziamento dell’Agenzia Sarda per le Politiche Attive del Lavoro e dei centri per l’impiego, che devono costituire dei servizi per il cittadino».

Diversi i progetti, come quello della Fondazione L’Al.Bo. di Osea, braccio operativo della Caritas diocesana di Alghero-Bosa, impegnata nell’inserimento di persone fragili in aziende locali convenzionate con la stessa Caritas, grazie a tirocini finalizzati a uno sbocco lavorativo.

Tra i problemi principali nei vari settori, la mancanza di figure specializzate e scarsa attrattività. «Registriamo un “mismatch” tra domanda e offerta – spiega Gilberto Marras, direttore regionale Confcooperative Sardegna e direttore dell’Ufficio regionale per la Pastorale sociale e del Lavoro – soprattutto per le professioni innovative, per esempio nelle nuove tecnologie». A ciò si aggiungono l’inverno demografico, incentivi inadeguati, oltre alla necessità di rispondere a una nuova percezione del senso del lavoro da parte dei giovani, sempre più orientati a sostenibilità e innovazione: «Una via a cui guardano sempre di più terzo settore e imprese sociali – continua Marras – è la rigenerazione delle comunità, con un’offerta integrata socio-economica, culturale, ambientale, dall’accoglienza diffusa alla valorizzazione delle produzioni locali».

Tra le buone prassi attive c’è l’impresa sociale Lavoro Insieme, braccio operativo Caritas, che nella Diocesi di Cagliari da anni sostiene i piccoli produttori del Gerrei, a cui si sono aggiunte alcune imprese ecclesiali: a breve anche l’apertura di alcuni punti vendita, insieme alla Fondazione Giulini. Una delle sfide è costituita dalle figure professionali green – oltre a quelle digitali – sempre più richieste dalle imprese artigiane, dove il lavoro c’è ma mancano i lavoratori: «Occorre migliorare la formazione, a partire dalle scuole, in cui le imprese dovrebbero essere più coinvolte» spiega Fabio Mereu, presidente Confartigianato Sardegna. E poi, il tema delle aziende di seconda generazione: «Realtà prese in mano da giovani che grazie alle nuove competenze comunicative rendono nuovamente attrattive e competitive le aziende storiche. Si lavora sull’incontro generazionale: serve la parte saggia della prima generazione ma poi i giovani devono poter scrivere la loro storia».

Situazione critica anche nei settori industriale e agro-pastorale. «Occorre puntare a un intervento culturale – spiega Marco Santoru, segretario generale Confindustria Sardegna – per rappresentare le potenzialità che può offrire il mondo produttivo ai giovani: una più mirata azione formativa, correlata a una cultura dello sviluppo e della programmazione economica, orientata a incrementare la dimensione d’impresa. Servono una politica industriale per il rilancio delle aree industriali e una incentivazione efficace». «La problematica maggiore è quella di trovare manodopera, soprattutto specializzata – spiega Mariafrancesca Serra, presidente regionale Coldiretti Donne –: è un lavoro che offre tante soddisfazioni ma comporta altrettanti sacrifici. Ci sono aziende che faticano ad andare avanti, tanto che stiamo lavorando sull’attivazione di un progetto con il Kirghizistan, che ha una tradizione agropastorale molto vicina alla nostra, per far arrivare da lì manodopera formata. Un’altra criticità è la difficoltà per le imprenditrici agricole di conciliare la maternità con il lavoro: l’attivazione di un sostegno alla sostituzione per i periodi di maternità sarebbe un aiuto concreto».

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