Vita

Ricerca. Xenotrapianti, una frontiera che si avvicina

Enrico Negrotti mercoledì 27 marzo 2024

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«Certamente non possiamo dire che il rischio sia zero, ma gli studi e la tecnologia sono progrediti molto negli ultimi anni, e lo xenotrapianto è una soluzione che si cerca di realizzare per rispondere alle necessità dei malati in attesa di trapianto, che sono molto più numerosi degli organi disponibili». Emanuele Cozzi, professore ordinario di Immunologia dei trapianti dell’Università di Padova e responsabile dell'Unità operativa di Immunologia dei trapianti dell'Azienda-ospedale di Padova, è referente immunologo del Centro nazionale trapianti (Cnt), nonché già presidente della Società mondiale dello xenotrapianto.

La settimana scorsa sono stati resi noti due trapianti sull’uomo con organi provenienti da maiali geneticamente modificati: uno di rene al Massachusetts General Hospital di Boston (Stati Uniti) e uno di fegato su un paziente clinicamente morto all’ospedale Xijing dell’Università medica dell'aeronautica militare di Xi'an in Cina.

«Si tratta di due casi molto diversi, e di quello cinese non posso dire nulla perché non ci sono ancora sufficienti notizie» anticipa Cozzi. A Boston hanno eseguito il trapianto di un rene bioingegnerizzato dall’azienda eGenesis: «Si tratta di un paziente sveglio, che poteva esprimere un consenso informato – puntualizza Cozzi –. L’autorità statunitense, la Food and Drug Administration (Fda) ha consentito di trapiantare per uso compassionevole il rene del maiale geneticamente modificato e di utilizzare un farmaco nuovo come immunosoppressore. Un’altra cautela è che trattandosi di un rene, si può ipotizzare che, in caso di fallimento del trapianto, si possa trasferire il paziente in dialisi».

Oltre a questo di Boston «negli ultimi 18 mesi negli Stati Uniti sono stati eseguiti a Baltimora, Università del Maryland, due trapianti di cuore – riferisce Cozzi – provenienti da maiali ingegnerizzati, su due pazienti adulti, anch’essi capaci di dare un consenso informato. In entrambi i casi si trattava di uso compassionevole, per pazienti con patologie ormai fatali. Uno è morto dopo 60 giorni e l’altro dopo 42, entrambi per rigetto, e per uno dei due si ha la certezza che la terapia immunosoppressiva non sia stata adeguata».

Quello cinese, invece, sembra inserirsi nel filone di altri esperimenti che sono stati effettuati negli Stati Uniti: «Non so abbastanza dello xenotrapianto in Cina, ma in diversi centri nordamericani (New York University, Università dell’Alabama, e altri) si stanno eseguendo interventi di questo tipo. Si tratta – chiarisce Cozzi – di xenotrapianti di cuore o di rene su soggetti in morte cerebrale, che avevano espresso in vita la volontà di essere donatori di organi, ma che quando sono morti non erano più in condizioni di poterlo fare».

A questo punto «con l’accordo della famiglia – continua Cozzi – hanno donato il corpo alla scienza: sono stati tenuti ventilati in terapia intensiva, con cuore battente, anche se cerebralmente morti, e sono diventati oggetto di trapianto di organi, rene o cuore, per verificare che l’organo animale potesse funzionare».

Allo xenotrapianto si sta guardando, da decenni, per rispondere alla carenza di organi, ma sono sempre stati molti gli ostacoli da superare, a partire dai quattro tipi di rigetto possibili: iperacuto, vascolare, cellulare e cronico. «Su quello iperacuto – osserva Cozzi – sono molto migliorate le capacità dei bioingegneri di modificare il genoma dei maiali per renderlo più compatibile con l’uomo. E non è più un problema. Quello cellulare non sembra essere un ostacolo, mentre ci preoccupa ancora quello vascolare, o umorale, che è anche quello che più riscontriamo nei rigetti di reni umani dal secondo anno dopo il trapianto».

In più «sono molto migliorate le terapie immunosoppressive ma – ammette Cozzi – non possiamo pensare che il rischio sia zero. È successo anche nei trapianti da uomo a uomo quando è stata introdotta la ciclosporina: la dose di farmaco da somministrare è stata calibrata con il tempo, all’inizio era troppo alta e nel 50/60% dei casi i pazienti sviluppavano tumori del sangue. Dopo i test di laboratorio si passa ai topi, poi ad animali più vicini all’uomo come i primati. Ma è chiaro che nel passare all’uomo resta sempre qualche incognita, è così per ogni terapia».

Dopo la pandemia, il passaggio di virus dall’animale all’uomo è un tema che suscita interrogativi ancora maggiori: «È vero – osserva Cozzi – ma nei maiali ingegnerizzati dalla eGenesis per la prima volta sono stati inattivati i tratti del genoma che codificano per i retrovirus del maiale (Perv). Aggiungo che non solo i due terzi delle valvole cardiache che vengono sostituite nel mondo sono di provenienza animale, ma che ci sono almeno 200 persone colpite da gravi ustioni, che hanno ricevuto epidermide di maiale e sono vissuti anche molto a lungo».

«Ovviamente non si può escludere al 100% che possa mai succedere un passaggio di virus dall’animale all’uomo, ma i dati in nostro possesso – conclude Cozzi – ci confortano. Il rischio zero non esiste, ma non stiamo gettando una monetina. Negli stabulari di alcuni centri di ricerca statunitensi vivono da due-quattro anni alcuni primati con reni trapiantati da maiali. Almeno per i prossimi anni lo xenotrapianto non sarà una opzione terapeutica per migliaia di pazienti, ma alcuni centri all’avanguardia (a Boston lavora l’infettivologo dei trapianti più noto al mondo, Jay Fishman) stanno muovendosi in questa direzione. E in genere pazienti, famigliari e personale sanitario impegnati in questi interventi sono seguiti molto da vicino dal punto di vista dei controlli medici».