Vita

Il caso. Vende ovociti. Ma il conto è salato

Valentina Fizzotti giovedì 29 gennaio 2015
Lei è un’americana che a vent’anni ha donato per dieci volte i suoi ovociti. Oggi il cancro la sta devastando. «In cuor mio so che dipende dagli ormoni che mi hanno dato», ha scritto a Jennifer Lahl, direttrice del Center for bioethics and culture, in California. Le ha scritto per raccontarle la sua storia dopo aver visto il sito di Lahl, fra l’altro regista e produttrice di una trilogia di documentari sul lato oscuro dell’industria della fertilità. Il primo della serie, del 2010, è Eggsploitation e racconta il sordido incubo che si nasconde spesso dietro la favola della «donazione di ovociti» attraverso le storie delle donne che ci sono passate. Una di loro, Jessica, non ha potuto raccontarla perché se l’è portata via il cancro a 30 anni. La donna che ha scritto a Lahl ha continuato a essere reclutata perché produceva molti ovociti. Oggi l’ha contattata perché, scrive, se esiste una correlazione fra i trattamenti cui è stata sottoposta e il male che l’ha colpita vuole fare tutto il possibile «per entrare a far parte degli studi clinici sull’argomento e rendere le donne consce di ciò che stanno veramente facendo quando vendono i loro ovuli, così che nessuna debba passare quello che ho passato io: non sono mai stata messa in guardia rispetto ai rischi legati ai farmaci che mi davano». Se ad esempio avesse saputo quanto era rischioso il mix fra la pillola anticoncezionale e gli ormoni non avrebbe mai acconsentito. Lei, sottolinea, ci tiene alla salute: per lo più vegetariana, mangia biologico e si mantiene in forma. Non ha mai acceso una sigaretta, il suo tumore non ha precedenti in famiglia e neppure cause genetiche: è semplicemente positivo agli estrogeni, i principali ormoni sessuali femminili.  Per donare gli ovociti bisogna sottoporsi a stimolazione ovarica e poi a un intervento chirurgico per l’asportazione dei gameti. Si inizia con iniezioni sottocutanee quotidiane, si prosegue con quelle che contengono ormoni che stimolano l’attività di più follicoli ovarici contemporaneamente (per ottenere più ovociti nello stesso ciclo). Infine si induce l’ovulazione con l’ennesima iniezione di ormoni, et voilà, decine di ovuli sono pronti per essere prelevati. Di norma le donatrici hanno dolori addominali, lividi e tutti gli spiacevoli effetti collaterali tipici degli ormoni. Ma a volte va molto peggio: si rischia il collasso di una delle ovaie o la sindrome da iperstimolazione ovarica, che comporta danni permanenti ai reni, aneurismi, infertilità e persino morte. Anche l’operazione può avere pericolose complicanze. Negli Stati Uniti l’«American society of reproductive medicine» e la Fda hanno redatto linee guida in materia, ma non sono vincolanti. Alla donna che ha scritto a Lahl è stato asportato l’utero. «L’ironia – scrive – è che ho perso la mia occasione di concepire figli dopo aver aiutato altre a farlo». Non è sposata (e teme che non lo sarà mai), ha il corpo coperto di cicatrici, non ha più un soldo (la sua chemioterapia è molto costosa), il suo cancro è attualmente considerato incurabile: «Non è valsa la pena di mettere a repentaglio la mia vita e il mio futuro per aiutare qualcun altro a diventare genitore».