Vita

Famiglia. Fecondazione eterologa e i diritti del figlio

Ernesto Preziosi, deputato del Pd venerdì 25 aprile 2014
Caro direttore,la decisione presa dalla Consulta a proposito della norma che, con la legge 40, aveva vietato l’eterologa, ripropone un tema su cui è necessario un supplemento di riflessione. Anche se si dovranno attendere le motivazioni della sentenza.I giudici che hanno sollevato il problema davanti alla Consulta l’hanno fatto in base ad un riferimento agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dove si richiama il «diritto alla vita privata e familiare», di per sé concetto piuttosto generico, e il «divieto di discriminazione». Difficile sostenere che con l’eterologa si abbia una tutela della salute della coppia, perché la patologia (sterilità e infertilità) non viene risolta né in via transitoria né definitiva. Difficile anche ignorare gli aspetti problematici che sul piano psicologico ed esistenziale spesso insorgono. L’uomo non è solo un insieme di cellule combinate.Il «divieto di discriminazione», poi, se da un lato può essere superato grazie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, dall’altro permane in quanto si pone come discriminante per il bambino che nasce senza conoscere il proprio patrimonio genetico. Il divieto inoltre dovrebbe essere applicato ai singoli individui non meno che alle aggregazioni sociali, e quindi anche alla famiglia. Con ciò non si vuol negare il problema né ignorare o tenere in poco conto il desiderio di felicità e le esigenze di tante coppie, o il fenomeno di quanti ricorrono all’estero.Il concetto di famiglia oggi è al centro di un dibattito e di mutazioni del costume, che chiedono un supplemento di studio, di riflessione, di confronto, sul piano culturale prima che su quello giuridico. Tutti siamo chiamati a riflettere. I laici chiamati a non assolutizzare il tema dei “nuovi diritti”, accettando il confronto. I credenti accogliendo l’invito fatto dal Papa, e riportato dal cardinale di New York Dolan, a «vedere le ragioni» di tanti fenomeni che oggi si presentano come realtà, «piuttosto che condannare rapidamente». Non tanto per riconoscere situazioni di fatto, ma per porsi in ascolto delle donne e degli uomini di questo tempo. La Chiesa oggi ha una grande responsabilità nel vivere la sua missione di sempre: annunciare la verità sulla persona umana, percorrendo le strade del dialogo, annunciando il Vangelo della vita. Il confronto è ancora più difficile se, nel momento in cui si legifera e si punta pertanto a oggettivare i comportamenti, si finisce, pur partendo da un punto di vista apprezzabile, per assolutizzare desideri e proiezioni dei singoli. Magari a scapito di soggetti più deboli – tale è il nascituro – e pertanto meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico. Compito non facile, per il quale dobbiamo essere capaci di promuovere un ascolto reciproco e un confronto, anche all’interno dei gruppi parlamentari. I diritti del nascituro, la visione di famiglia e gli equilibri affettivi all’interno della stessa, hanno una priorità anche rispetto ai rischi – esistenti – di una mercificazione di embrioni e gameti. La legge 40 si presenta già come una difficile sintesi, come una mediazione in cui per alcuni tutto è negato e per altri si può accettare il risultato come un male minore. La sentenza ridà la parola alla politica, al Parlamento, che dovranno fare la loro parte.Il problema di fondo non è tanto quello degli effetti diretti o indiretti delle tecniche: ma la riflessione sui criteri di una generazione conforme all’umano. Il problema è: ci sono dei criteri della generazione umana o il problema non è nemmeno da porsi? E ancora, si è davvero disposti a trarre tutte le conseguenze? Su questi temi, mai come oggi vi è bisogno di ascolto, di capacità di convincere con argomenti che non tengano conto solo dell’esperienza, ma che da questa partano. È un dialogo culturale che accompagna l’azione legislativa e va costruito, mentre a poco serve il muro contro muro, peraltro foriero di soluzioni che, non essendo frutto di mediazione, aprono la strada a scelte più radicali. Sono temi in cui l’etica, la visione del mondo e della natura umana vengono inesorabilmente in primo piano e ogni certezza deve essere posta con mitezza, direi con pudore. Ma proprio per questo, nella presente difficoltà di orientarsi, non possiamo rinunciare, da credenti che operano in politica, accanto alla ricerca delle possibili mediazioni, a rendere presente il nucleo stesso dell’annuncio cristiano.