Vita

Sentenza. La maternità surrogata è una pratica degradante, nessun diritto automatico

Antonella Mariani venerdì 20 gennaio 2023

Manifestazione in Francia contro la maternità surrogata

Non ci può essere alcun automatismo nella trascrizione di atti di nascita di bambini generati con l’utero in affitto all’estero: il genitore è uno solo, quello biologico. Il “genitore intenzionale” dovrà fare richiesta di “adozione in casi speciali” al Tribunale per i minori.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, resa nota il 30 dicembre scorso e passata quasi inosservata tra le feste di fine e inizio anno, offre una direzione inequivocabile agli uffici anagrafe di tutta Italia, che in questi anni hanno imboccato direzioni diverse, anche a seconda dell’orientamento politico dell’amministrazione. Il ragionamento della Cassazione, in estrema sintesi, è il seguente.

Poiché la maternità surrogata, o “gestazione per altri” (Gpa), in Italia è vietata per validi motivi di dignità delle donne e di “mercificazione” del bebè, occorre scoraggiarne il ricorso pure all’estero ma nello stesso tempo tutelare l’interesse del bambino che nel frattempo ha intrecciato legami affettivi.

Il caso. Una coppia di uomini, legati da un’unione civile, chiede all’ufficiale di stato civile di trascrivere l’atto di nascita ottenuto in Canada, che li descrive entrambi come padri di un bambino nato da utero in affitto grazie al seme di uno dei due, a una donatrice di ovuli anonima e a una madre portatrice ben nota. L’ufficio anagrafe rifiuta, i due ovviamente ricorrono e, dopo un iter giudiziario complesso, arriva la sentenza della Cassazione.

Nessun automatismo sulla doppia genitorialità per chi rientra in Italia con il bambino in braccio. Ed ecco cosa dice la sentenza della Cassazione. Chi ricorre all’utero in affitto all’estero e non ha legami biologici con il bebè non è automaticamente genitore anche in Italia: se così fosse, si «finirebbe per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante».

Il giudizio sulla Gpa è netto, e ricalca quello della Corte Costituzionale del 2017: «Offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale».

Il migliore interesse del bambino: la valutazione al Tribunale per i minori. Lo Stato italiano non vuole dunque essere messo di fronte al fatto compiuto, ma deve comunque tutelare il bambino nato, così come chiesto anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2019. La Cassazione ratifica così una soluzione “riparativa”: il genitore d’intenzione non biologico, uomo o donna che sia, si deve sottoporre a una valutazione da parte del giudice, esattamente come accade nel caso di tutte le altre adozioni speciali e anche di quelle “ordinarie”.

Questo vuol dire che per la Cassazione, come spiega su Tempi il giurista Emanuele Billotti, «il paradigma della genitorialità naturale è ancora – e deve rimanere – al centro del sistema. La “genitorialità” puramente volontaria rimane un’ipotesi del tutto eccezionale, destinata a venire in considerazione come extrema ratio di tutela di un bambino», come nel caso «in cui, a seguito del ricorso a una tecnica vietata, si sia nondimeno concretizzato un rapporto di cura la cui formalizzazione appaia funzionale alla realizzazione del superiore interesse del minore».

Una pratica che offende la dignità della donna. La sentenza della Cassazione è importante anche per altri motivi. Il primo è che, come abbiamo già visto, i giudici ribadiscono che la maternità surrogata è sempre una pratica che offende la dignità della donna e mina le relazioni umane.

Non esiste un diritto a essere genitori. Il secondo motivo, sottolineato con efficacia da Daniela Bianchini in un articolo pubblicato sul sito del Centro studi Levatino, è che la sentenza ribadisce che non esiste nel nostro ordinamento un diritto a essere genitori, e dunque «la genitorialità giuridica non può fondarsi sulla volontà della coppia». Quindi non basta aver “voluto” un figlio e averlo avuto con contratto: serve una «valutazione di concretezza», scrive la Cassazione, e cioè il riscontro oggettivo del «preminente interesse del bambino a continuare (...) un rapporto di cura e di affettività che già nei fatti si atteggia a rapporto genitoriale».

Alcuni osservatori a questo punto si spingono ad auspicare che nella valutazione dell’interesse del bambino il giudice consideri severamente la modalità della sua nascita. La coppia che decide di avviare una Gpa attua una “reificazione” del bambino, riducendolo a una merce da ordinare e pagare, e della madre che affitta il suo utero dietro lauto compenso. E il giudice, sostiene il Centro Levatino, ha il dovere di verificare se ciò è compatibile con una crescita serena del bambino.

«Dovrebbe ritenersi – scrive Daniela Bianchini – sempre sussistente un potenziale rischio di pregiudizio, in quanto non va sottovalutato che prima ancora del suo concepimento il minore è stato trattato alla stregua di un oggetto, strumentale alla realizzazione di un desiderio altrui».