Vita

L'analisi. Suicidio assistito: vale la Corte costituzionale, non leggi delle Regioni

Marcello Palmieri giovedì 19 ottobre 2023

I copricapi dei giudici costituzionali

Su impulso dell’Associazione radicale Luca Coscioni, diverse Regioni d’Italia stanno avviando l’iter per legiferare sul suicidio assistito. A detta di Marco Cappato, tesoriere del sodalizio proponente (e candidato del centrosinistra alle imminenti suppletive per il seggio senatoriale della Brianza), l’obiettivo è quello di «stabilire regole e tempi certi per garantire i diritti costituzionali dei pazienti della Lombardia in materia di fine vita ».

Eppure, confrontando il testo della proposta di legge – uguale per tutte le Regioni – con il disposto della sentenza 242/2019, appare evidente come ci si trovi innanzi all’ennesimo tentativo di “fuga in avanti”, localizzato ben oltre il dettato della Consulta. « La Regione – così recita l’articolo 1 della bozza normativa –, nel rispetto delle proprie competenze e dei principi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019, al fine di garantire la necessaria assistenza sanitaria alle persone che intendono accedere al suicidio medicalmente assistito [...], definisce tempi e modalità per l’erogazione dei relativi trattamenti ». In verità, il dispositivo della Consulta sancisce qualcosa di ben diverso. La Corte, infatti, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli articoli 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 ( Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».

La differenza tra quanto sancito dalla Corte Costituzionale e quanto invece contenuto nella proposta-fotocopia di legge regionale appare evidente: mentre infatti la Corte Costituzionale istituisce una finestra di non punibilità penale (a vantaggio dei medici che liberamente si determinano a collaborare nell’atto mortale), la bozza normativa proposta vorrebbe «garantire la necessaria assistenza sanitaria alle persone che intendono accedere al suicidio medicalmente assistito». Il salto giuridico è ben svelato, posto che mentre la Consulta ha inteso tutelare una facoltà del medico (quella di collaborare al suicidio) la bozza normativa vorrebbe teorizzato ex novo un diritto in capo al paziente (quello di disporre di un medico che lo aiuti a farla finita). Inammissibile, per la nostra Costituzione, che riserva al solo Stato l’indicazione di quali siano i trattamenti esigibili. È quanto figura tra i Lea (Livelli essenziali di assistenza), tra i quali – a oggi – ancora non compare l’assistenza nei suicidio. D’altronde, una legge nazionale sulla materia ancora non esiste.