Vita

Vita. Stati vegetativi, Italia spaccata

Francesca Lozito lunedì 9 febbraio 2015
«La presa in carico dei malati con disordini della coscienza è un dovere necessario». È categorica Matilde Leonardi, neurologa, coordinatrice del Progetto Incarico, un imponente studio che coinvolge 11 regioni, 2.450 centri con l’obiettivo di mettere sotto la lente di ingrandimento il «modello di integrazione socio sanitaria nella presa in carico dei pazienti con disordini della coscienza». Cosa vuol dire in concreto? «Le linee guida nazionali tracciano un modello di assistenza – spiega Leonardi –, le 106 norme regionali di questo ambito sono l’attuazione delle linee guida. Poi ci sono i malati. Attraverso l’osservazione di 90 di questi abbiamo cercato di capire come i principi ricadano concretamente nella vita delle persone».E le differenze, ovviamente, il team di lavoro di Incarico e ha trovate. «Se nella fase acuta, quella del pronto soccorso per intenderci, il tipo di assistenza è omogeneo su tutto il territorio nazionale, nella riabilitazione cominciano ad esserci differenze». Che diventano abissi nella cosiddetta fase degli esiti: quella della stabilizzazione nella condizione di stato vegetativo o di minima coscienza.Incarico, che verrà presentato domani mattina a Roma in occasione della Giornata nazionale dedicata agli stati vegetativi nell’ambito di un convegno al Ministero della Salute, ha potuto contare sulla collaborazione dei principali specialisti italiani della materia e sul coinvolgimento di tutte le associazioni italiane che ogni giorno sono accanto a malati, medici e familiari per offrire il supporto di una rete. La Giornata si celebra nel giorno del sesto anniversario dalla morte di Eluana Englaro, la giovane lecchese che dopo 22 anni in stato vegetativo è stata privata per volere del padre dei supporti vitali – alimentazione e idratazione – in una clinica di Udine. L’obiettivo principale di questo imponente lavoro è stato quello di elaborare dei suggerimenti per migliorare le linee guida facendole aderire sempre di più alla realtà che vivono i malati e le famiglie: «Non ci può essere un concetto univoco di presa in carico. Perché è diverso se avviene a casa, attraverso un ricovero, nel processo medico piuttosto che nel processo sociale. Come sono diversi i costi a casa o in residenza per l’assistenza». La situazione migliore in Emilia Romagna, mentre Umbria e Liguria registrano tassi altissimi di “emigrazione”. Quali le cause? «Ad esempio i mesi di riabilitazione. Per alcuni malati sei, cioè quelli stabiliti dalle linee guida, non sono sufficienti. Lo spettro va da due mesi a 540 giorni a seconda della gravità in cui si trovano», spiega ancora la scienziata.Al Centro di bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore il compito, innovativo, di condurre un analisi etica di tre aspetti della ricerca: cura, presa in carico e care giver. Il Progetto Incarico giunge in questo ambito alla conclusione che «la cura è in quanto tale una pratica morale che esprime una precisa visione antropologica ed etico politica». Il Paese è chiamato a farla sua.