Vita

L'INTERVISTA. Il sociologo Ferrarotti: «Nulla come la famiglia garantisce coesione»

Umberto Folena martedì 24 settembre 2013

Il grande vecchio della sociologia italiana ha la vista lunga e profonda: «In ogni momento di crisi, economica e istituzionale, la famiglia s’è rivelata l’ammortizzatore segreto ed efficace» scandisce Franco Ferrarotti, 87 anni e la storia dalla sua.Professore, il cardinale Bagnasco ieri l’ha ribadito senza mezzi termini: «La macchina del Paese ha un cuore e un motore», la famiglia.E le mie ricerche mi inducono a dargli più che mai ragione. Quando scoppia la crisi, oggi specialmente con questa altissima disoccupazione giovanile, la famiglia garantisce coesione. Dal 2008 in poi è stata un’àncora di salvezza fondamentale. Ma tutta la storia conferma questa convinzione.Tutta la storia? Può farci un esempio?Non deve sembrare strano se penso al 1943. Nulla a che vedere con il 2013... Ma anche allora, in una situazione di totale sfacelo delle classi dirigenti, nel più totale abbandono e disorientamento, il pensiero unanime degli italiani al fronte, all’estero, lontani fu uno solo: «Tutti a casa». La famiglia come arca di salvezza. Dovrebbe far pensare...Davvero la sola, unica salvezza?Non neghiamo che qualche problema c’è. Ad esempio, alcuni studiosi americani, anche seri, riferendosi a questa caratteristica molto italiana, ma anche di un po’ tutte le società dell’Europa mediterranea, hanno parlato sbrigativamente di «familismo amorale». Per me è un grave errore. Si confonde la famiglia, cuore della società, la con la corruzione della solidarietà familiare, che può degenerare in autentica delinquenza, in modelli di stampo mafioso. Per certi studiosi, nelle nostre società del Sud europeo cadono le competenze e conta solo la famiglia, con la sua rete di amicizie e favori. La loro conclusione è che, eliminando la famiglia, emergerebbe il merito. Ma, ripeto, sono forme di corruzione che niente hanno da spartire con l’istituto familiare. Se oggi, come in ogni fase di crisi, non potessimo contare sulla famiglia, come nazione saremmo allo sfacelo.Bagnasco, però, si riferisce a una famiglia ben precisa, quella «fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna».Il matrimonio, nelle sue forme storiche, resta l’unione naturale di uomo e donna in vista della perpetuazione dell’umanità. Nessun dubbio. Tuttavia, se la famiglia, come credo, è l’ammortizzatore segreto delle crisi sociali, non è estranea alla società stessa, né può isolarsi dalle mutevoli condizioni storiche.In altre parole?Penso ad esempio a separati e divorziati, alle norme che non possono non fare i conti con le condizioni concrete di tanti uomini e donne. Mi sembra che anche papa Francesco abbia detto che vescovi e sacerdoti non possono limitarsi a «includere ed escludere», a dire «tu dei dentro e tu sei fuori». Occorre una grande sapienza pastorale, me ne rendo conto. Ma non credo che la Chiesa possa pensare a se stessa come a una sorta di recinto per i perfetti credenti.In genere, ha proseguito Bagnasco, si guarda alla famiglia come soggetto che consuma. Invece, prima di tutto, è un soggetto che produce.L’antica famiglia allargata consumava ciò che produceva; la famiglia nucleare non più, e diventa quindi il facile bersaglio delle campagne pubblicitarie che spingono verso i consumi. Che fare? Ad esempio, dovremmo rivalutare la figura di chi rimane in casa: allevare i figli è l’impresa in assoluto più ardua. Invece oggi è spesso affidata ai media che non accettano alcuna responsabilità etica. Troppi figli si riducono a francobolli appiccicati agli schermi, dove tutto è mescolato, un po’ di Papa e una valanga di crudeltà assortite... La difesa della famiglia dovrebbe presupporre una critica radicale ai contenuti dei media elettronici. Troppi miei colleghi sembrano interessarsi solo alla tecnologia dei mezzi, trascurando i contenuti, in grandissima parte pedagogicamente devastanti.Troppo individualismo ripiegato su se stesso, osserva infine Bagnasco, mentre la famiglia è per la «cultura dell’incontro».Abbiamo dinanzi a noi un compito enorme. Elaborare e costruire una «nuova individualità», non egolatrico né egocentrico, ma socialmente orientata verso un’identità personale che si riconosce e arricchisce con l’incontro e con l’alterità.