Vita

Salute. Un bambino da Gaza a Bari per curare la Sma. Il “miracolo” di Pasqua

Laura Badaracchi sabato 30 marzo 2024

Il bambino palestinese appena arrivato a Fiumicino viene caricato su un'ambulanza verso Bari

A Ramallah, nella striscia di Gaza, oggi è impossibile prestare le cure necessarie a un bimbo di 9 mesi affetto da Sma di tipo 1, ovvero la più grave forma di Atrofia muscolare spinale a esordio infantile: una malattia genetica rara che comporta debolezza muscolare e difficoltà motorie progressive che rendono difficili gesti quotidiani come sedersi e stare in piedi, nei casi più gravi deglutire e respirare.

La diagnosi era arrivata prima dello scoppio della guerra, poi le strutture ospedaliere locali hanno rinviato le terapie non urgenti. Così a febbraio, per il loro quarto figlio, i genitori si rivolgono a un parente che è stato in Italia e parla un po’ la nostra lingua oltre all’inglese. In rete trovano i contatti mail dell’Associazione Famiglie Sma. A rispondere è la presidente Anita Pallara, 32enne pugliese affetta a sua volta dalla patologia. «Mi sono messa subito alla ricerca di una Regione con un ospedale che potesse prendere in carico il piccolo: dopo due dinieghi, ho ricevuto il via libera dalla Puglia in accordo con il governo, nella persona del sottosegretario Alfredo Mantovano. A questo punto l’Ambasciata italiana a Gerusalemme ha rilasciato il visto al bimbo e ai suoi genitori per motivi sanitari. Così la famiglia ha acquistato i biglietti aerei per partire dalla Giordania, destinazione Fiumicino». Lì ad attenderli hanno trovato un’ambulanza pediatrica di rianimazione con medico e infermieri su cui sono saliti madre e figlio, e un’altra auto medica che ha preso a bordo il papà, accompagnandoli al Policlinico Giovanni XXIII di Bari.

«Sono arrivati nella serata del Giovedì Santo, accolti con emozione dal personale sanitario che ha riservato loro una stanza nel reparto di neurologia: così i genitori possono stare sempre insieme al loro bambino. Ovviamente sono molto contenti di essere qui, dove riceveranno le migliori terapie dopo tutti gli accertamenti e gli esami necessari», racconta Anita, che li ha incontrati il Venerdì Santo.

Ad affiancarla fin dall’inizio un mediatore culturale di lingua araba, «per comprendersi fino in fondo a motivo della situazione delicata e per farli sentire a casa, seppure lontani da casa, dove hanno lasciato gli altri quattro figli ai nonni. Per me è stata un’immensa gioia vedere il piccolino e gli operatori dell’ospedale – medici, infermieri, oss – sono molto felici di poter essere utili in questo momento storico nel migliorare la vita di questo bimbo. Conoscendo le sue condizioni cliniche, ci siamo immediatamente adoperati per farlo arrivare prima possibile: era una cosa che andava fatta: non si poteva fare altrimenti», commenta Pallara, dal 2020 presidente di Famiglie Sma e già impegnata in casi analoghi con bambini provenienti dall’Ucraina in guerra. Miracoli di speranza, avvenuti grazie all’impegno di molte persone nonostante i conflitti in corso.