Vita

LA STORIA. Padre Brogno: «In ospedale ho incontrato pazienti che erano veri testimoni di fede»

Giacomo Gambassi lunedì 11 febbraio 2013
​Nella chiesetta dell’ospedale dell’Annunziata a Cosenza una pala del Buon Samaritano accoglie chi varca l’ingresso. «L’icona biblica scelta per la Giornata mondiale del malato di quest’anno ci dice che il paziente non è una cartella clinica ma è espressione piena di Cristo che soffre e ci insegna ad accogliere la sofferenza con dignità», spiega il cappellano padre Ugo Maria Brogno. Frate minore cappuccino, un master di bioetica, 50 anni che compirà ad aprile, è da sedici fra le corsie di ospedale. «In fondo è un tratto del carisma francescano – afferma –. L’avventura spirituale di Francesco comincia con il servizio ai lebbrosi. E oggi la patologia è una realtà che in troppi vogliono lasciare ai margini. Per questo sostengo che come credenti siamo chiamati a tornare fra i malati per essere il volto della Chiesa che, maestra in umanità, esercita la diaconia della carità verso chi soffre».Padre Ugo ha tradotto questa sfida anche in un apostolato culturale. E nel 2005 ha fondato la Scuola regionale di umanizzazione ed etica sanitaria. Lo slogan dell’iniziativa ne riassume lo scopo: «Impiega il tuo tempo a servizio degli infermi, diventa operatore di pastorale sanitaria». «Con la scuola vogliamo preparare nuovi Buoni Samaritani – riferisce il religioso – o, secondo un’altra espressione, animatori capaci di rispondere alle attese del mondo della salute. Oggi il malato non è solo in ospedale dove resta pochi giorni, ma è soprattutto nel territorio. Per queste le parrocchie hanno un ruolo fondamentale». Il corso dura due anni ed è diviso in tre sezioni: biblico-teologica, etico-psicologica e medico-chirurgica. «Ci rivogliamo sia ai volontari, sia ai medici. E a tutti ripeto che occorre condividere la sofferenza ed entrare in empatia con la malattia».Magari col volto che annuncia speranza. «Ecco perché come motto ho scelto una frase che rimanda alla gioia: "Dona un sorriso e colorerai la vita di chi soffre" – chiarisce il cappuccino –. Del resto l’ospedale non è soltanto una cattedrale della sofferenza ma anche della vita». Nella mente di padre Ugo affiorano immagini e ricordi. «Ho incontrato pazienti che sono stati modelli di fede e nella malattia hanno vissuto il rapporto con Cristo in maniera splendida. Così il malato diventa anche evangelizzatore: con la sua ricchezza ci aiuta a ridimensionare il nostro orgoglio e ci fa comprendere le nostre fragilità».Forte della sue radici, il cappuccino ha scommesso sul dialogo con le altre confessioni e le altre fedi. «Nei reparti Dio non può incontrare barriere». E da tredici anni all’Annunziata la Giornata del malato ha un’appendice ecumenica che sarà celebrata domenica 24 febbraio. Il religioso cita san Camillo per indicare lo stile del suo ministero. «Spiegava il grande santo che i malati vanno assistiti con mani e cuore. Un invito che ho declinato nel sacramento della presenza: talvolta basta anche uno sguardo silenzioso per sostenere chi è nella prova e fargli sentire la vicinanza del Signore».