Vita

La manifestazione del 30 gennaio. Famiglie da tutta Italia al Circo Massimo

Francesco Ognibene venerdì 29 gennaio 2016

Chi attende la manifestazione di domani a Roma, organizzata dal «Comitato Difendiamo i nostri figli», per contare 'quanti saranno' deve sapere che l’unica cosa certa è la capienza del Circo Massimo: 450mila persone. E se i segnali che giungono alla 'centrale operativa' dell’evento – ribattezzato «Family Day 2.0» – lasciano immaginare numeri ben più imponenti, l’aria che si respira tra la manciata di persone che se ne sono assunte la regia è di grande fiducia, ma per un altro aspetto anche più importante: «La gente che viene, genitori con figli, nonni e nipoti, tutti sembrano aver chiaro il messaggio per il quale abbiamo lanciato il nostro invito: la famiglia è un grande dono da preservare e da difendere rispetto a un progetto di legge che la snatura alterandone lo stesso disegno costituzionale. Perché la manifestazione è il segno che le famiglie italiane si sono svegliate, si sono rese conto di quel che sta accadendo in Parlamento. E nessuno riuscirà più a farle tacere». Massimo Gandolfini, portavoce del Comitato, è sicuro e sereno. La professione – è apprezzatissimo neurochirurgo nella sua Brescia – l’ha abituato a pressioni e responsabilità. La sua voce dal palco del Circo Massimo sarà naturalmente la sola a rappresentare un popolo mai come stavolta variegato e composito (molti anche i non cristiani di cui si annuncia la presenza), così come suoi sono il nome e il volto nei quali l’opinione pubblica sta imparando a identificare l’iniziativa romana. Gli altri interventi attesi sono alcune testimonianze – tra le altre, una famiglia adottiva e l’attivista californiana Jennifer Lahl che si batte contro la maternità surrogata – alternate a interventi musicali. Una scaletta semplice, con i politici presenti – decine di parlamentari, e poi numerosi sindaci e i tre governatori di Lombardia, Liguria e Veneto – sotto e non sopra il palco, ad ascoltare la voce delle famiglie.  Una voce che racconta molte storie: ad esempio quelle di chi – racconta Gandolfini – «ha messo insieme i risparmi di un magro bilancio familiare pur di esserci, o altri che un po’ dovunque promuovo un digiuno, un Rosario, una veglia, una raccolta di fondi per la buona riuscita di domani. È una mobilitazione commovente, che non finisce certo col Circo Massimo, quale che sia la partecipazione. Per questo parlo di risveglio, un inizio e non un gesto destinato a restare isolato. Non siamo contro nessuno, né vogliamo ergerci a protagonisti. Oggi il Parlamento, la politica, i media in buona parte non rispecchiano il comune sentire della gente: migliaia di italiani intendono  semplicemente ricordare loro cos’è la famiglia». Il medico bresciano non nasconde che l’obiettivo è «fermare il ddl Cirinnà, farlo tornare in Commissione per un profondo ripensamento. Così com’è non va. Intendiamo dirlo in modo positivo: domani a Roma tutti dovranno sentirsi a casa. In famiglia».  Sulle questioni delle quali si discute in queste settimane «i cristiani e i vescovi si stanno esprimendo all’unisono»: lo dichiara il cardinale Angelo Scola, che in un’intervista al portale della diocesi di Milano (www.chiesadimilano.it) riflette sulla famiglia definendola come «rapporto stabile e aperto alla vita tra l’uomo e la donna che – oltre ad approfondire l’amore tra i coniugi – si fa carico dell’educazione dei figli, genera vita e si prende cura di due differenze fondamentali, la differenza sessuale e la differenza tra le generazioni». Proprio «la differenza sessuale nella coppia genitoriale», di cui si sta tentando di dimostrare la non essenzialità, è invece «insostituibile per il figlio». Scola definisce la manifestazione di domani «un dato di fatto positivo», premettendo che «in una società plurale è doveroso che ogni soggetto proponga a tutti gli altri qual è secondo lui l’ideale della società, in particolare a proposito di cosa è famiglia. Scandalizzarsi perché dei cittadini manifestano è profondamente sbagliato». Sull’opportunità di una nuova norma l’arcivescovo di Milano pensa sia necessario «evitare che l’istituto familiare, che ha una sua identità e fisionomia precisa, venga non solo sminuito ma anche offuscato da nuove leggi. Questo non significa non riconoscere alla persona omosessuale i diritti che devono essere oggettivamente dati. Questi diritti però devono andare anzitutto alla persona, il più possibile, e garantire la persona stessa. E molti di questi diritti sono già identificati dalle leggi vigenti».

Due i punti che vanno «evitati: costruire un impianto di legge che ricalchi l’istituto familiare; e ammettere la stepchild adoption, via per giungere massicciamente all’adozione – attraverso la pratica dell’utero in affitto – dei figli per le coppie omosessuali».