Vita

LA GIORNATA PER LA VITA. Ogni vita accolta è uno schiaffo alla crisi

Ilaria Nava giovedì 31 gennaio 2013
Chi opera nel volontariato sociale si scontra più duramente con la crisi, che sottrae finanziamenti e aumenta la domanda di assistenza. Una difficoltà che nei Centri di aiuto alla vita fa i conti con donne che scelgono l’aborto come soluzione che pare loro obbligata in un contesto di povertà o precarietà. Ascoltare la voce di questi sensori sul territorio alla vigilia della Giornata nazionale per la vita di domenica è una lezione di realismo. «Le nostre entrate sono piuttosto esigue: le quote dei soci, la vendita delle primule, qualche donazione. Ma i casi che trattiamo sono sempre di più, e le segnalazioni da parte dei servizi sociali aumentano. Abbiamo sempre fornito latte, pannolini, viveri fino a un anno di età del bambino, ma adesso questo non basta più, e continuiamo ad aiutare anche dopo» spiega Maddalena, volontaria del Cav di Recco, in provincia di Genova. Uno degli oltre 300 punti di accoglienza della vita sparsi sul territorio nazionale dedicati all’aiuto e al sostegno di donne che aspettano un bambino che per diversi motivi non vorrebbero.
Tra questi motivi, quello che sembra pesare di più è il fattore economico. Incide prima di tutto sulla madre, ma anche sui servizi sociali, che hanno meno fondi e più persone tra cui distribuirli. La domanda su «quanti aborti e quante tentazioni eutanasiche si verificano a motivo del primato economicista», posta lunedì dal cardinale Bagnasco, interpella tutti. «Nella nostra realtà – spiega Emanuele Petrucci, fondatore del Cav di Cisterna di Latina – i servizi sociali ci chiedono sempre di più e ci danno sempre di meno. Inviano sempre più persone che loro non riescono ad aiutare, ma quando chiediamo diritto di cittadinanza o cerchiamo di creare strutture in sinergia a favore del bene comune, non c’è volontà di collaborare con noi, non c’è vero dialogo. I soldi ci sono, il problema è come si usano. Noi del Cav ci autotassiamo e facciamo iniziative di raccolta fondi, ma non ce la facciamo più e rischiamo seriamente di chiudere». Il presidente della Cei ha denunciato anche che «linee di compromesso, o peggio di baratto tra economia ed etica della vita, a scapito della seconda, sarebbero gravi». Compromessi che nelle zone più disagiate diventano scelte che non sono neppure messe in discussione, come ci spiega Antonella Casucci del Cav di Canicattì, in provincia di Agrigento: «Rispetto a un anno fa, le persone che si sono rivolte a noi sono meno: 49 rispetto alle 55 dell’anno scorso. Ne abbiamo discusso e abbiamo ipotizzato un uso più ampio della pillola del giorno dopo, oppure per il fatto che con il prolungarsi della crisi la gente ha paura anche di farsi aiutare e sceglie l’aborto senza neppure venire da noi».
Inoltre, rispetto al passato ci sono molte più donne italiane, circa la metà delle persone che aiutiamo. Sono nostre concittadine, mamme del nostro paese, e anche se la riservatezza è garantita, può esserci più ritrosia, visto che il paese è piccolo. Collaboriamo abbastanza bene con i medici di famiglia e i consultori, ci piacerebbe avere una sede presso le strutture pubbliche che ci mandano così tante persone, ma al momento non sembra purtroppo possibile. Negli ultimi 15 giorni abbiamo aiutato 3 donne che volevano abortire avendo come unico motivo la mancanza di soldi. Tengo però a dire che i soldi sono importanti ma da soli non bastano: ci vuole incoraggiamento e sostegno». Un’idea condivisa anche da Teresa Ceni Longoni, presidente del Cav di Magenta, nel Milanese: «Sicuramente ci è richiesta un’opera di carità che abbiamo sempre fatto e continueremo a fare, ma l’opera più importante è di tipo educativo, anche se è la parte più difficile».
Infatti «spesso i Cav sono benvisti dalle istituzioni quando offrono aiuti materiali, ma ci viene preclusa ogni possibilità educativa all’interno dei consultori e dei presidi pubblici. Considerare solo l’aspetto economico, peraltro, ci penalizza perché la donna che vuole abortire non sta compiendo una valutazione economica, bensì di valore sulla vita del figlio che sta aspettando. Sicuramente si avverte maggiore fatica in questo momento, ma non ho dati certi sull’aumento di aborti per cause economiche. La crisi impone anche a noi volontari di ingegnarci di più per trovare fondi, per imparare a fare rete con le altre realtà sociali e con i servizi sul territorio». La ricca realtà lombarda, in cui ha svolto una sua funzione anche il fondo Nasko, stanziato dalla Regione a favore delle future mamme in difficoltà, dimostra che l’elemento economico è importante ma spesso non determinante. «I consultori ci mandano donne incinte segnalandoci i loro problemi economici, ma nei colloqui, andando a fondo, spesso scopriamo che le motivazioni sono altrove. Insieme arriviamo a capire che quel figlio la donna non lo vuole, e le motivazioni possono essere molto articolate». Bisogna farsi sempre più prossimo per accogliere una vita.