Vita

La portavoce. «Nella Marcia per la Vita un popolo che non si arrende»

Graziella Melina sabato 20 maggio 2017


Il diritto alla vita è un valore universale, e va difeso sempre. Una parte significativa del popolo pro-life è scesa in piazza a Roma, per la VII «Marcia per la vita» chiedendo – tra le molte altre cose di una giornata di festa – che il Governo si impegni in atti concreti a favore delle famiglie e dei più fragili. «Siamo un mondo vero e proprio, spesso silenzioso, ma che vuol far sentire la propria voce», sottolinea Virginia Coda Nunziante, portavoce della Marcia. Che con Avvenire mette in fila alcune buone ragioni per una mobilitazione che anno dopo anno consolida il suo significato di testimonianza pubblica. E che ha ricevuto anche il saluto e la benedizione di papa Francesco.


Il dibattito da mesi si concentra sul biotestamento e su scelte tragiche, con la vostra iniziativa date un segnale in controtendenza...
È così, teniamo a ribadire l’importanza della Marcia proprio perché viviamo in una cultura di morte, sempre più diffusa nell’intero Occidente. Vogliamo ribadire la necessità di ricreare una cultura della vita. Proprio per questo è fondamentale trasmettere ai giovani il messaggio che la vita è un dono straordinario e che dobbiamo difenderla.


Quali sono i pericoli che oggi mettono a rischio il diritto alla vita?
L’urgenza maggiore è la tutela dei deboli fra i più deboli, ossia i bambini nel ventre materno, sempre più a rischio. Per far un esempio, con le nuove disposizioni del presidente della Regione Lazio c’è il pericolo che si diffondano nei consultori le pillole abortive. Si amplifica così sempre di più la diffusione di questa mentalità della morte dei bambini nel ventre materno. Sull’altro fronte, con la proposta di legge sull’eutanasia in realtà si viene anche a minare la vita delle persone più fragili, ossia gli ammalati e gli anziani, che sono oggi le categorie più a rischio.


Quali sono allora le vostre proposte per cambiare rotta?
Noi chiediamo, per esempio, che vengano tolti i finanziamenti per la diffusione dell’aborto, circa 200 milioni di euro all’anno, e che vengano destinati alle famiglie, per promuovere le nascite e sostenere le persone più fragili.


Per difendere la vita – è la vostra tesi – non bastano soltanto i proclami...
La Marcia vuol far capire che questo è un dibattito che va aperto, che non possono imporcelo dall’alto e che c’è tutto un mondo della vita, spesso silenzioso, che vuol far sentire la propria voce. Dobbiamo veicolare questo messaggio anche nei giovani, per contrastare la cultura della morte spesso diffusa anche tramite i social network.


Il popolo «pro-life» non è soltanto una nicchia della società?
Assolutamente no, siamo molto più numerosi di quelli che poi scendono in piazza. Non tutti possono arrivare fino a Roma per l’iniziativa, però lo sappiamo dagli attestati che riceviamo, dalle realtà che ci sono: molti lavorano nell’ombra, ogni giorno. Noi vogliamo dare voce anche a queste persone, far capire che c’è la possibilità di cambiare qualcosa. Sappiamo che il cammino è lungo, ma dobbiamo essere coscienti che va fatto tutti insieme, perché l’unione fa la forza. Solo così possiamo ottenere risultati straordinari, anzitutto per il futuro del nostro Paese.