Vita

Disegno di legge. «La maternità surrogata sia reato penale. Anche all’estero»

Francesco Ognibene martedì 12 aprile 2022

La nursery di un'azienda ucraina specializzata nella commercializzazione di madri surrogate

Visto che «la pratica della surrogazione di maternità offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», va considerata un reato da inserire nel Codice penale, all’articolo 600 («Riduzione e mantenimento in schiavitù o in servitù»), «punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da 600mila a 2 milioni di euro» e «perseguito anche se il fatto è commesso in tutto o in parte all’estero». Non solo: «Il pubblico ufficiale che annoti nei registri dello stato civile il nato da maternità surrogata è punito ai sensi dell’articolo 567 comma 2 del Codice penale» (false dichiarazioni nella formazione dell’atto di nascita, pena da 5 a 15 anni). Sono solo 3 articoli ma congegnati per colmare i buchi applicativi della normativa italiana sull’utero in affitto quelli del disegno di legge d’iniziativa popolare depositato ieri in Cassazione dalla Lega e da alcune associazioni che si battono per la tutela della vita.

L’intento è di rafforzare il fragile divieto contenuto nella legge 40, che all’articolo 12 comma 6 prevede da tre mesi a due anni di reclusione e la multa fino a un milione di euro per «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza» la gestazione per altri. Uno sbarramento che finora ha risparmiato all’Italia la surrogazione di maternità ma non ha impedito che numerose coppie si servissero all’estero, in Paesi – come l’Ucraina, sino alla guerra mercato di riferimento per l’affitto di grembi materni – dove la pratica è legale. Al rientro in patria col bambino in braccio la prassi giudiziaria ha provveduto a eliminare ogni possibile ostacolo, legalizzando nei fatti la gestazione conto terzi, alle sole condizioni che si realizzi oltrefrontiera e che metà del patrimonio genetico del bambino partorito dalla mamma in affitto appartenga a uno dei due "genitori committenti". Un’ipocrisia legale che aveva spinto esponenti del centrodestra come Mara Carfagna e Giorgia Meloni a depositare in Parlamento ciascuna un proprio disegno di legge per mettere fuori legge la compravendita della vita umana.

Ora arriva questo nuovo progetto sul quale c’è un impegno politico (la Lega intende farsene promotrice) e associativo (per raccogliere le firme necessarie). A mettersi in campo sono le sigle d’ispirazione cristiana che hanno promosso di recente l’iniziativa «Ditelo sui tetti» per una rinnovata agenda politica ispirata al pensiero sociale cattolico. Ne sono animatrici, tra le altre, Alleanza Cattolica, Family Day, Medici cattolici, Movimento per la Vita, Nonni 2.0, Pro Vita e Famiglia, Centro Studi Livatino, Steadfast, Polis Pro Persona e Difendere la Vita con Maria. «La pratica dell’utero in affitto – fa sapere il Movimento per la Vita spiegando la sua adesione al disegno di legge – viola e calpesta la dignità della vita umana dal concepimento, la dignità della donna che viene sfruttata come "macchina gestazionale", la bellezza della maternità che viene contrattualizzata, commercializzata e mercificata». Con l’iniziativa popolare si vuole far comprendere che «la pratica dell’utero in affitto affonda le radici nella dimenticanza che il principale protagonista è il figlio chiamato all’esistenza dalle tecnologie di riproduzione umana», svilito a «prodotto commissionabile».

Fa suo il progetto il segretario della Lega Matteo Salvini, che in Cassazione ha detto che «raccoglieremo le firme di tutti e in tutta Italia contro l’utero in affitto e la maternità surrogata, la donna usata come oggetto e i bimbi venduti come merce scegliendo i colori degli occhi. È una barbarie sul corpo della donna ed è un business di 6 miliardi di euro all’anno nel mondo, che va fermato in ogni maniere possibile». La surrogazione «è una pratica con cui si sfruttano donne indigenti e si fa del nascituro un mero oggetto in balia dei desideri egoistici degli adulti – è il giudizio di Emmanuele Di Leo, leader di Steadfast, anche lui ieri in Cassazione –. Ben venga una iniziativa popolare per dare voce ai cittadini su questa pratica disumana».