Vita

Convegno. Depressione post-partum? Fa male anche ai figli

Lucia Bellaspiga lunedì 13 ottobre 2014
Delle 550mila donne che partoriscono ogni anno in Italia, 80mila (una su sette) si ammala di Depressione post partum: una vera patologia, di cui si parla solo nei rarissimi casi di infanticidio, ma che in realtà potrebbe essere intercettata e curata in tempo. Non solo: è provato scientificamente che i figli nati dalle 80mila madri depresse si porteranno dietro per il futuro una serie di disabilità anche gravi: il quoziente intellettivo sarà più basso di 5 punti, si ammaleranno 7 volte di più, nell’adolescenza e nell’età adulta avranno comportamenti più violenti... Sono solo alcuni dei dati usciti dal convegno internazionale "Depressione post partum: il progetto Rebecca Blues", in corso oggi e domani a Roma al Campidoglio, organizzato da Strade Onlus. Un convegno che per la prima volta affronta il tema non dal punto di vista delle madri ma dei loro figli, nella consapevolezza che curare le mamme significa tutelare centinaia di migliaia di futuri adulti. Ogni tentativo nel mondo di curare la madri affette da Depressione post partum, però, è sempre fallito, perché la diagnosi non avviene in tempo in quanto le donne non chiedono aiuto, anzi, si sentono in colpa (dovrebbero essere felici di avere un bimbo ma non lo sono e così si sentono giudicate). Per questo è nato il Progetto Rebecca presentato oggi al Campidoglio, un’App che si scarica su cellulari e tablet e che tiene costantemente in contatto le madri e il medico: non è invasivo e non sottopone a giudizio, dunque le donne lo accettano e vi si affidano. Se invece parliamo di "maternity blues", una condizione che non è depressione ma si manifesta come tristezza e voglia continua di piangere dopo la nascita del figlio, le donne coinvolte sono addirittura 400mila, l’80% delle italiane che mettono al mondo un figlio. La tristezza o maternity blues è dunque una condizione molto diffusa, per la quale c’è una spiegazione in chiave positiva (la neomamma chiede così "aiuto" alle altre donne della famiglia, chiede una relazione, esattamente come il neonato piange non perché soffra ma per instaurare un rapporto con la mamma). «Il problema è che oggigiorno le altre figure femminili spesso mancano - spiega il dottor Antonio Picano, dirigente psichiatra al San Camillo di Roma - perché il primo parto avviene a 35 anni, quando la madre e le sorelle sono già attempate o lontane, così la donna resta sola». Una solitudine che è alla base anche delle depressioni vere e proprie.
Spesso per curare le madri depresse basta un rapporto confidenziale e immediato, la consapevolezza appunto di non essere sole, e il Progetto Rebecca dà proprio questa consapevolezza (vedi articolo e video successivi). Ma perché il rischio di disabilità nei figli delle madri depresse è tanto alto? "Perché la madre che sta male è fredda col bambino, non stabilisce la giusta relazione, e questo accade nei primi mesi di vita, proprio quando si pongono le basi psicologiche del suo carattere», spiega Picano. Facile allora comprendere come la famiglia sia fondamentale per ogni nato: «Checché oggi qualcuno voglia sostenere - sottolinea Massimo Di Giannantonio, ordinario di psichiatria all’univesrità di Chieti - il bambino per il suo sviluppo psicologico necessita assolutamente di due figure genitoriali ben distinte e certe. Se manca una delle due, si insinua il germe della solitudine, della mancanza di relazioni sociali. Proprio quelle che sono la premessa per una piena salute mentale».