Vita

"Dat": grandi e costituzionali principi. La vittoria di Ippocrate

Francesco D'Agostino venerdì 15 luglio 2011
Il disegno di legge sul fine vita e sulle Dichiara­zioni anticipate di trattamento (Dat), approva­to dalla Camera, sta suscitando polemiche viva­cissime e assolutamente legittime, se non per i toni, spesso deplorevoli, che stanno assumendo. Che però da parte di alcuni si continui a lamen­tare che questo testo violi il doveroso rispetto che si deve all’autonomia della volontà dei pazienti la­scia davvero meravigliati. Così come desta mera­viglia sentir contrapporre al testo del disegno di legge italiano quello della Convenzione europea di bioetica (o Convenzione di Oviedo), quando contrapposizione non c’è sotto alcun profilo. O­viedo si guarda bene dall’auspicare un’obbliga­torietà per il medico di applicare le Dat, ma si li­mita a dire che esse dovranno «essere prese in considerazione». Esattamente quello che dice il disegno di legge votato a Montecitorio, che pre­vede addirittura, per favorire la loro esatta acqui­sizione da parte dei medici, l’istituzione di un re­gistro nazionale consultabile via internet. Defi­nire «pomposa» tale norma, come qualcuno ha fatto, significa non rendersi conto che questo è ap­punto il modo migliore per far prendere sul serio le Dat, senza giungere all’estremo – rischiosissi­mo – di renderle giuridicamente «vincolanti». Su questo punto della vincolatività, da tempo su 'Avvenire' ribadiamo concetti molto semplici, su cui nessuno dei critici della legge ha però la com­piacenza di riflettere (magari per criticarli). Anche per questo mi spiace registrare che alcuni critici della legge lamentino l’assenza in materia di una «discussione ampia e sincera» (con chi si può di­scutere, quando l’interlocutore volta la faccia da un’altra parte e si tappa le orecchie?). Ci sono ot­time ragioni che inducono a non rendere vinco­lanti le Dichiarazioni, come bene venne spiega­to a suo tempo dal Comitato nazionale per la bioe­tica, quando – per evitare ogni equivoco – all’u­nanimità preferì appunto l’espressione «Dichia­razioni » anziché «Direttive anticipate». Riassumiamo la questione in due premesse e in una conclusione. Prima premessa: le Dat non sono, per principio, «attuali»; vengono in gene­re redatte diversi anni prima della loro eventua­le utilizzazione. Seconda premessa: nessuno può avere «a priori» la certezza della capacità di in­tendere e di volere del sotto­scrittore nel momento della sottoscrizione delle Dichiara­zioni o di una sua adeguata informazione, soprattutto per quel che concerne l’evoluzio­ne delle sue possibili patologie e delle relative pratiche medi­co-terapeutiche. Conclusione: è quindi ragionevole che le Dat non siano vincolanti, ma che il medico che le acquisisce possa (eventualmente!) disattenderle, motivando adeguatamen­te la sua decisione. È in questo modo che si ri­spetta in concreto la per­sona umana (articolo 32, 2° comma, della Costitu­zione), evitando il rischio altissimo dell’abbandono terapeutico, cui potreb­bero andar incontro (nel nome di un astratto rispetto della loro «insinda­cabile autonomia»!) soggetti che potrebbero es­sere molto anziani, fragili, colpiti da una varietà di gravi patologie, in stato di necessità econo­mica o privi di sostegni familiari e la cui sotto­scrizione delle Dat potrebbe essere priva di cre­dibilità o comunque non calibrata sulla loro si­tuazione sanitaria reale. Un’ultima osservazione. Smettiamola di invoca­re, a proposito della legge sulle Dat, il principio su­premo di laicità dello Stato (sul quale concorda­no tutti, anche e in primo luogo i cattolici). Ab­biamo ripetuto infinite volte – senza tema di es­sere smentiti – che questa legge è ispirata non al­la dottrina 'cattolica', ma ai principi della medi­cina ippocratica (risalenti al quarto secolo avan­ti Cristo), tra i quali è prioritario quello del rispetto per la vita. La medicina ippocratica non impone la difesa della vita «a ogni costo» e non ne fa un principio dogmatico, ottuso e indiscutibile: è per­fettamente coerente con i suoi principi la rinun­cia all’accanimento terapeutico, anche quando da tale rinuncia potesse conseguire un’accelera­zione del processo del morire. Ciò che non è coerente con la medicina ippocra­tica è l’eutanasia. Che tra coloro che criticano la legge sulle Dat ci siano in prima fila, e con parti­colare virulenza, espliciti fautori della 'dolce mor­te' dovrebbe dare molto a pensare a quale sia l’au­tentico portato bioetico di questa legge.