Vita

cerco famiglia. La figlia di Amina e il pane di Fatima

Daniela Pozzoli lunedì 2 maggio 2016

Amina, di origine tunisina, è una mamma di 18 anni che cerca una famiglia affidataria per sé e per la sua bambina Kira di appena 7 mesi. Attualmente mamma e figlia sono in una comunità, ma Amina ha bisogno di una famiglia che le insegni a prendersi cura della piccola.

La diciottenne era in comunità già prima della gravidanza; la sua famiglia musulmana definiva il suo modo di vivere troppo “occidentalizzato” e si sentiva legittimata a maltrattarla. Nessuno tutelava Amina, nemmeno la madre che trascorreva lunghi periodi in Tunisia, partendo  senza avvertirla. In comunità Amina, dopo due bocciature, ha terminato la terza media e ha iniziato la scuola per operatore agro-alimentare; ha anche imparato a prendersi cura della propria persona. Sorridente e fragile, spesso accondiscendente, tiene le distanze e a tratti è introversa. E’ riuscita a valorizzare solo parzialmente le relazioni instaurate con le educatrici di cui diffida, probabilmente a causa delle esperienze vissute in famiglia. Timida e incerta, spesso manifesta il suo sentirsi inadeguata con la rabbia.

La piccola Kira invece è nata a fine agosto 2015 da una relazione di Amina con un ragazzo ecuadoregno di 22 anni, il quale prometteva di volersi prendere le sue responsabilità di padre, ma poi è sparito.

Di recente è tornato a farsi vivo e, ora che ha un lavoro e una casa, sembra voglia riavvicinarsi alla ragazza e alla figlia, dimostrandosi presente e collaborativo. La relazione tra i due però è caratterizzata da incomprensioni, abbandoni e nuovi inizi. Per Amina e Kira si cerca una famiglia che le accolga entrambe, residente tra l’Emilia Romagna e la Lombardia, così da poter mantenere il rapporto padre-figlia. Il nucleo dovrebbe avere più figli suoi, così da offrire ad Amina e alla sua bimba un modello di convivenza sereno.

Info: Progetto Affido di Fondazione L'Albero della Vita, tel. 3313316525; email: affido@alberodellavita.org

 

In aiuto alle famiglie siriane

Fatima si sveglia prima dell’alba per aiutare la mamma a impastare il pane per tutta la famiglia: “Dobbiamo farlo prima che sorga il sole, perché a quell’ora il pilota che guida l’aereo da combattimento è impegnato a prendere il caffè”, spiega. “Il pane va preparato perché se non veniamo uccisi dai bombardamenti, moriamo di fame”. Fatima ha 7 anni e si è stufata di impastare il pane, vorrebbe andare a scuola e giocare, ma appartiene a quella generazione di piccoli siriani che non ricorda nient’altro che la guerra.

“Non so se i piloti dei jet facciamo davvero una pausa per il caffè - ammette la mamma -. L’ho detto ai miei figli per fargli passare la paura. Gli ho chiesto anche di resistere, perché anche chi ci bombarda un giorno si stancherà”. La famiglia di Fatima è una delle tante che ha deciso di non andare via e di non sfidare il mare e il fango dei campi profughi, continuando a sperare in un futuro di pace nella loro terra. Sono circa 8 milioni gli sfollati interni siriani, di cui almeno 3 milioni i bambini.

È a loro che Aibi, Amici dei bambini, ha pensato nel momento in cui ha attivato la campagna di sostegno a distanza “Io non voglio andare via” con interventi di prima e seconda emergenza nelle provincie siriane di Idlib e Aleppo. Qui Aibi distribuisce pane, ceste alimentari e razioni “ready to eat”, fornisce protezione ai minori  con psicologi e animatori in una ludoteca sotterranea, al riparo dalle bombe. I bambini che ne beneficiano sono 12mila.

Info: Aibi, sostegno a distanza, tel.: 02.988221