Vita

INTERVISTA. Cascavilla: «Una legge necessaria per i miei malati fragili»

Emanuela Vinai giovedì 7 aprile 2011
Coniugando una assistenza adeguata al paziente e alle sue necessità con un sostegno efficace alle famiglie e ai caregivers, la richiesta di morte scompare. Questa equazione, solo apparentemente banale, è la chiave di volta per ogni operatore sanitario che, secondo laicità e ragione, voglia fornire una risposta concreta a ogni possibile deriva eutanasica. Ne è convinto il dottor Leandro Cascavilla, geriatra all’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e responsabile del centro Uva. (unità valutativa Alzheimer).Dottor Cascavilla, ogni giorno si confronta con la fragilità di pazienti che ai crucci dell’età spesso aggiungono i disagi di una terribile malattia neurodegenerativa. In base alla sua esperienza, che cosa chiedono i malati e le loro famiglie?«La richiesta è una sola: non essere lasciati soli. Come geriatra mi occupo non soltanto dei problemi clinici, ma anche di quelli assistenziali e socioeconomici. E, in aggiunta, questo centro è l’unico presidio sul territorio per questo tipo di patologie: diventiamo quindi il solo riferimento per i pazienti e i famigliari che si fanno carico del gravosissimo onere dell’assistenza. Nessuno chiede di accelerare la morte, tutti chiedono di non essere abbandonati».Chi soffre di Alzheimer non è più in sé, non si riconosce. Su queste basi c’è chi sostiene che non sia più dignitoso vivere. Cosa risponde?«Dobbiamo interrogarci costantemente su quale dignità abbiano questi malati. Se io lego il riconoscimento della dignità a una presunta "qualità della vita" è ovvio che si rischia di scivolare verso derive pericolosissime. Se invece lo saldo alla persona, alla sua stessa esistenza in vita, come bene non disponibile e non negoziabile, allora come medico ho il preciso dovere di fornire tutta l’assistenza possibile a chi ne ha bisogno e dipende in tutto e per tutto da chi gli sta intorno. E questo è un valore universale, assolutamente non confessionale: parlo da medico, non da cattolico».La fragilità e la sofferenza, la paura di non essere più indipendenti, di non avere più alcun controllo sulla propria vita, possono ingenerare la richiesta di eutanasia?«Gli anziani incorrono nel concreto pericolo di scivolare nelle tre "d": demenza, dolore e disabilità. A queste va aggiunto sicuramente l’abbandono. L’uomo vive di relazioni, e l’anziano in misura ancora maggiore. Molte volte l’abbandono deriva dalla mancanza di assistenza, soprattutto alle famiglie. E spesso le istituzioni sono carenti. In questo senso occorrerebbe una politica di welfare più orientata. Lo ripeto: nessuno adeguatamente assistito e inserito in una rete di cura e di cure chiede di morire».Perché è utile una legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento? E con quali punti fermi?«Una legge è necessaria perché tutela il più debole, perché quando ci si trova in una situazione di totale dipendenza e disagio non si può far decidere qualcun altro. Soprattutto nel caso di malattie come l’Alzheimer, che hanno una progressione inevitabile, l’alleanza terapeutica è fondamentale per il decorso della malattia, ma non può prescindere dalla valutazione della situazione nell’attualità del momento dell’intervento. Nel tenere conto delle volontà precedentemente espresse, il medico non può essere strettamente vincolato a esse, ma deve poter agire in scienza e coscienza secondo etica. Inoltre, a mio parere, non può mai essere oggetto di Dat il rifiuto di un sostegno vitale come l’alimentazione e l’idratazione».