Vita

Il medico. «Il suicidio di Davide ci richiama a più umanità e cure palliative»

Francesco Ognibene sabato 16 settembre 2023

Davide Macciocco in una foto postata sul suo profilo Facebook

«Io vado via in totale serenità e sognando». Non certo un’espressione che denoti la volontà di farla finita. Eppure, dopo averla affidata a Facebook, Davide Macciocco si è davvero dato la morte. Suicidio con farmaco letale in una delle strutture dedicate che hanno reso tristemente famosa la Svizzera.
Quarant’anni, da 20 tetraplegico per un tuffo da sei metri su un fondale troppo basso, Davide ha sempre voluto vivere a pieni giri, anche dopo la paralisi. E con la stessa lucida determinazione ha deciso di morire con un messaggio che in rete sta suscitando molte discussioni: si poteva fare qualcosa? Va garantita una soluzione simile in Italia? Che giudizio esprimere quando non si condivide un gesto simile? Domande di cui si fa carico Marco Maltoni, medico palliativista e presidente dell’associazione «Sul Sentiero di Cicely».

Come evitare che situazioni come quella di Davide Macciocco portino a esiti tragici?
L’unica strada percorribile, certo non in modo meccanico, è che la persona ammalata, con la sua libertà, scopra la condizione in cui si trova come una condizione, certo non desiderabile, ma in cui è possibile che accadano cose, incontri, affetti belli, di una bellezza misteriosa. Cioè, che la persona sofferente si sorprenda che in una condizione così vi siano possibilità di risposta il cui fascino sia maggiore di quello della Svizzera. Tutto questo al di là dell’aspetto legislativo, che pure è importante per la mentalità del malato, dei familiari, dei curanti, della società, mentaltà che certo una legge contribuisce a formare.

Cosa può fare un medico di fronte a un caso simile?
Il singolo medico può doverosamente portare la sua “mission”, che è la cura, e le sue competenze. Ma deve assolutamente allargare la rete. Valorizzando al massimo i colleghi delle diverse specialità, e gli altri professionisti: infermieri, oss, psicologi, competenti in interventi integrativi, assistenti spirituali, passando tempo a condividere e ad ascoltare, contribuendo a vivere un intervento d’équipe. Il tempo passato con il paziente e con i familiari, e il tempo passato ad approfondire i diversi aspetti con gli altri professionisti, non è mai troppo. Le mie colleghe spessissimo mi riportano alla attenzione punti che mi possono sfuggire. In una conferenza di famiglia che spesso facciamo con pazienti e familiari di persone con situazioni complesse, il marito di una giovane donna ci ringraziava per avere coinvolto la famiglia che lui aveva scelto fino a quel momento di lasciare un po’ all’oscuro. Questo giovane uomo non credente si è sorpreso a un certo punto a dire al bimbo di 11 anni : “la mamma continuerà a vivere sempre, finchè batte il tuo cuore, perché è lì che vive”.

Quali sono i doveri del Servizio sanitario di fronte a casi tanto drammatici?
Il dovere del Ssn è prioritariamente quello di ottemperare ai Lea, i Livelli Essenziali di Assistenza, che prevedono la attuazione di tutti i livelli (ospedalieri, ambulatoriali, domiciliari) della Rete di Cure palliative. Il Ssn deve creare in modo sistematico la possibilità della scelta per la “ricerca del bello” come provavo a descrivere sopra. Offrire su tutto il territorio nazionale le “migliori cure palliative” quelle originali, quelle di Cicely Saunders. Offrire un approccio palliativo capillare e diffuso e un certo numero di specialisti in medicina palliativa, con cui tutti possano venire in contatto e che tutti possano “provare”. Offrire cure palliative moderne, che prevedano la applicazione delle Leggi inerenti, in particolare la 38 del 2010 (su cure palliative e la terapia del dolore) e la 219 del 2017 (sul consenso informato e la pianificazione anticipata e condivisa delle cure). 

Qual è la responsabilità della società, di tutti noi, rispetto a persone in condizioni di fragilità anche estrema?
Contribuire a una presenza. Vi sono esempi incredibili e sorprendenti di società civile che si organizza per un accompagnamento reciproco. Solo per citare alcuni esempi di cui sono a conoscenza diretta. La Mongolfiera di Imola, nata per consentire ai bambini con disabilità di alcune famiglie di frequentare le scuole, e che tempo è diventata un vero e proprio luogo di accoglienza per centinaia di famiglie con bimbi con problemi, su tutto il territorio nazionale. Oppure i cosiddetti “Quadratini”, ammalati e famiglie che una volta alla settimana per Zoom si collegano per condividere le proprie esperienze. Allargare la tribù e accompagnare: “ad cum panio”, mangio il pane con te mentre camminiamo insieme.

Si dice che occorre lasciar libero chi vuole farla finita perché “non ce la fa più” di compiere la sua scelta. Lei cosa pensa?
Vent’anni di vita con tetraplegia meritano un rispetto infinito, possono sembrare il crocevia tra la distrazione di Dio e la libertà dell’uomo. E’ questa libertà che merita di essere inserita dentro una storia particolare di relazione e di esperienza di bene, di speranza, di sguardo commosso e fedele.