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èVita. Groviglio eterologa, il diritto chiede certezze

Emanuela Vinai giovedì 29 maggio 2014
Quale scenario si è aperto per il diritto di famiglia con la caduta del divieto di fecondazione eterologa? E i principi che saranno ridefiniti dalla sentenza della Corte Costituzionale sono sufficienti, o necessitano di un aggiornamento normativo? Sono alcune delle domande su cui un autorevole gruppo di giuristi verrà chiamato a confrontarsi martedì 3 giugno alla Camera dei Deputati nel convegno «Quale status per i figli dell’eterologa?». A parlare si alterneranno alcuni tra i più importanti esperti in materia come Michele Sesta, ordinario di Diritto civile all’Università di Bologna, Enrico Del Prato ordinario di Diritto civile alla Sapienza di Roma, Mauro Orlandi, ordinario di Diritto privato a Roma Tor Vergata, e il giurista Alberto Gambino.La recente sentenza della Corte Costituzionale, di cui si attendono ancora le motivazioni, cancellando il divieto di fecondazione eterologa ha di fatto creato un vuoto normativo che da più parti si chiede di colmare. In assenza di regole certe e definite, infatti, si rischia il ritorno al far west precedente l’approvazione della legge 40. Questa ipotesi, foriera di una serie di implicazioni per la gran parte imprevedibili, non è vista di buon occhio nemmeno da alcuni sostenitori della deregulation procreatica. Disciplinare una fattispecie così complessa è oggetto di valutazione e dibattito da parte degli esperto di diritto. «Una legge è necessaria perché ci sono questioni irrisolte in un caso particolarmente denso di problemi – commenta Enrico Del Prato –. Si aprono nuove frontiere del diritto privato in cui le questioni sul tappeto sono molteplici e vanno affrontate seriamente perché coinvolgono il nocciolo della vita umana. Nell’incertezza del diritto, senza una normativa specifica, si rischia di lasciare il campo a decisioni giurisprudenziali difformi tra loro».Uno dei temi che con l’eterologa pone con urgenza è relativo all’attribuzione della maternità: per la legge italiana la madre è colei che partorisce il figlio, ma le recenti vicende dello scambio di embrioni all’Ospedale Pertini di Roma e alcune sentenze sull’utero in affitto hanno messo in luce la necessità di fare chiarezza. «La nascita di una persona è un fatto con cui bisogna confrontarsi – spiega Del Prato –. La legge 40, nel prevedere le conseguenze della violazione del divieto di fecondazione eterologa, pone a tutela del nato una serie di garanzie, come il divieto di disconoscimento». Ora, la sentenza della Consulta apre un interrogativo di natura contrattuale, spiega Del Prato: «L’efficacia di un contratto si misura dal vincolo che pone e dalla sua irretrattabilità. Qui è in gioco qualcosa di fondamentale, che è la generazione di una vita umana e che ha a che fare col consenso. Chi mette a disposizione i propri ovuli può ripensarci? Prima e a monte dell’esatta individuazione dello status di figlio, che sia giuridicamente della partoriente o della donatrice, si pone il problema della vincolatività del contratto».Da questo discendono altri interrogativi non eludibili: «Il donatore si trova nella condizione di chi vuole procreare senza passare per la filiazione. Questo intento negativo può essere giuridicamente rilevante? La scienza ha reso la volontà padrona della procreazione, ma questo pone il problema della capacità predittiva di chi sceglie. Le decisioni prese avranno riflessi su aspetti di varia natura: patrimoniale, sociale, medica...».Di altro parere Michele Sesta, per il quale «le tecniche di fecondazione eterologa possono trovare applicazione senza interventi legislativi sulla base della normativa vigente». In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza della Corte, esaminando la definizione della titolarità della maternità e di eventuale contestazione di questo stato giuridico, Sesta ritiene che «tale contestazione non sia possibile, perché la legge la prevede solo se c’è stato uno scambio di neonato in culla o in caso di supposizione di parto. Per il nostro Codice civile madre è colei che partorisce». Anche se, ammette Sesta, resta irrisolto un grave problema: «La Corte o una legge dovranno intervenire sul diritto di far valere la propria identità genetica da parte del soggetto nato da fecondazione eterologa».