Vita

Sanità impreparata. Pasticcio eterologa, dietro l’annuncio il nulla

Viviana Daloiso - Emanuela Vinai venerdì 12 settembre 2014
​La fecondazione eterologa è davvero ai blocchi di partenza? Gli interrogativi sul tappeto sono troppi per riuscire a dare risposte certe. Certo invece che nei nostri ospedali pubblici sia in atto una vera e propria "emergenza gameti", nel senso che mancano ovociti e spermatozoi da donatori "non profit". In Toscana la banca regionale del seme è vuota: «Ci stiamo preparando, credo che possiamo essere pronti per la prossima primavera», ha dichiarato pochi giorni fa il direttore Mario Maggi. E anche altrove non va meglio se il Policlinico Sant’Orsola di Bologna ha dovuto rinviare a data da destinarsi le coppie in lista d’attesa per cronica assenza di cellule riproduttive fruibili. L’indisponibilità nasce da diversi elementi. Da un lato tutti i gameti donati prima della sentenza della Consulta e conservati nei vari centri non sono utilizzabili per almeno altri sei mesi, perché non sono stati sottoposti ai test di sicurezza per accertare varie patologie, tra cui l’Hiv. Finora l’unica pratica di fecondazione ammessa dalla legge era quella omologa e, di conseguenza, non erano previste una serie di analisi di profilassi che invece sono obbligatorie quando si introducono gameti "esterni" alla coppia. Il materiale genetico già presente e stoccato nei laboratori non risulta quindi di immediata disponibilità. Per quanto riguarda invece l’egg sharing, ovvero l’utilizzo di ovociti crioconservati a seguito di prelievo da donne che già si sono sottoposte alla Pma, si pone il problema della qualità. Per la maggior parte infatti, sono provenienti da donne la cui età non è più considerata ottimale per ottenere una gravidanza. Fattore essenziale, tant’è che nelle cosiddette "linee guida" delle Regioni l’età delle potenziali donatrici è fissata a un massimo di 35 anni. Risulta quindi quantomeno improbabile che chi si sottopone a fecondazione eterologa scelga ovociti poco "produttivi". A questo si aggiunge che, come evidenziato dallo stesso documento della Conferenza delle Regioni nel sottolineare i rischi del caso, effettuare "prelievi a fresco" da donatrici è una procedura invasiva che prevede lunghe stimolazioni ormonali, sincronizzazione dei tempi con la ricevente e, conseguentemente, periodi di riposo. Quanti donatori, volontariamente e gratuitamente, si avvarranno di giorni di ferie per accettare di sottoporsi a queste procedure? Ma le coppie, si sa, hanno fretta, e allora l’unica via per ovviare al problema è quella che passa per l’importazione dei gameti dall’estero, ma anche qui il percorso è piuttosto stretto. Anzitutto per i costi: il prezzo di un singolo ovocita sul mercato oscilla tra i mille e i duemila euro. A fronte di questa spesa, che va moltiplicata esponenzialmente perché è irrealistico assicurare la fecondazione con un solo tentativo, le probabilità di ottenere una gravidanza restano molto basse e analoghe a quelle da fecondazione omologa: si parla del 30-35% a seconda della qualità dell’ovocita utilizzato. Nel rapporto costi/benefici, quale struttura pubblica può sostenere questi costi vivi? Il pagamento di un ticket copre una parte delle spese, ma il resto resta a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Per rendere l’idea, prendendo come esempio solo l’Ospedale Careggi di Firenze con duecento coppie in lista d’attesa e ipotizzando tre cicli di trattamento, calcolatrice alla mano è facile arrivare a cifre in grado di destabilizzare qualunque budget sanitario in tempi di spending review. Inoltre, a norma di legge, la possibilità di acquisto all’estero è percorribile solo se viene effettuata da un Paese in cui la donazione dei gameti è gratuita salvo rimborso, come la Francia o la Spagna, mentre non è possibile importarli per esempio dall’Ucraina o da altri Paesi dell’Europa orientale. Tanto meno da zone più lontane e non ancora minori garanzie sanitarie. Nel già citato testo regionale condiviso non è prevista alcuna sanzione per chi disattende, così è evidente che questo mercato si presta a infinite scorciatoie in cui l’illegalità va di pari passo con l’insicurezza su tracciabilità e pagamenti. Infine, altro capitolo ancora tutto da esplorare è quello relativo alle autorizzazioni: ogni Regione dovrebbe emanarne una ad hoc per i centri individuati. I parametri da usare sono tutt’altro che secondari.