Vita

WASHINGTON. L’uomo non si brevetta

Elena Molinari venerdì 14 giugno 2013
Il corpo umano non è brevettabile. Mettendo fine ad anni di dibattito, con una sentenza storica la Corte suprema americana ha posto un fermo altolà alle pressioni delle società farmaceutiche che nel materiale genetico vedono la nuova frontiera del profitto. Il Dna, quindi, non è proprietà dell’azienda che l’ha isolato o decodificato, ma dell’organismo da cui proviene. La decisione mette chiarezza in un settore di ricerca in forte espansione e armonizza la giurisprudenza statunitense con quella del Vecchio continente, dove il «no» alla possibilità di brevettare geni o sequenze di Dna umano è già esplicito da tempo. I 9 giudici della Corte Suprema, che si sono espressi all’unanimità, hanno però ammesso la possibilità di brevettare il materiale genetico prodotto sinteticamente. Un compromesso caldeggiato dalla stessa Amministrazione di Barack Obama, che in un memorandum ai giudici aveva fatto distinzione fra il Dna «prodotto dalla natura» e quello artificiale, di «invenzione umana». Quest’ultimo esiste in un ambito ancora pioneristico, ma si può pensare al caso delle cellule staminali ottenute da organismi non presenti in natura. Oppure a organismi che in futuro potranno essere costruiti in laboratorio grazie alla biologia sintetica. Alle possibili preoccupazioni per gli usi ancora difficili d immaginare del “Dna sintetico” medici e scienziati hanno ieri anteposto la soddisfazione per lo stop a una pratica che ha interferito con la loro ricerca. Mentre eticisti ed esperti legali hanno salutato il valore etico e giuridico per la tutela dei diritti umani della «storica sentenza».Il caso giudiziario emerge dall’azione della Myriad Genetics, un’azienda privata di Salt Lake City specializzata nella diagnosi molecolare delle malattie, in particolare nella ricerca sui geni legati al tumore del seno e delle ovaie. Fu questa azienda ad annunciare nel 1990 la scoperta del primo e del più famoso dei geni legati al rischio di tumore del seno, chiamato Brca1. E a dichiararsene proprietaria. Grazie alla sua esplosività sull’uso del gene, e successivamente del Brca2 (i brevetti ventennali scadranno a breve), la stessa azienda si è specializzata in test genetici per la diagnosi dei tumori di seno, colon, utero, melanoma e pancreas che per questo motivo sono rimasti carissimi, nell’ordine dei 3.000 dollari e più. È proprio l’esistenza di una mutazione in uno di quei geni ad aver spinto di recente l’attrice Angelina Jolie ad affrontare un intervento chirurgico radicale come la mastectomia, su un seno al momento ancora perfettamente sano, pur di non correre il rischio di ammalarsi di cancro alla mammella. La speranza ora è che l’assenza di brevetti renda i test più diffusi e meno cari e, soprattutto, dia impulso alla ricerca di cure, mettendo la salute prima del business. La Myriad negli ultimi anni aveva infatti mosso cause contro laboratori che avevano lavorato sul gene, accusandoli di violazione della proprietà intellettuale. È possibile che la sentenza dissuada altre imprese dall’investire nella mappatura genetica, in assenza di chiari ritorni economici. Il pronunciamento dei giudici blocca infatti l’iter di decine di altri brevetti di geni rimasti in sospeso. Ma il balzo in avanti fatto ieri in Borsa del titolo della Myriad lascia intendere che gli investitori vedono ancora valore in aziende biotecnologiche all’avanguardia in grado di identificare nuovi geni. Come ha fatto notare ieri il giudice della Corte suprema Clarence Thomas, infatti, le società private possono ancora brevettare «i loro metodi di isolare parti del Dna», o le cure che emergeranno da tale lavoro. Ma il corpo umano no. Neanche nelle sue componenti più infinitesimali.