Vita

Il direttore risponde. «Gender», che cosa dire ai figli

Marco Tarquinio giovedì 2 aprile 2015
Caro direttore, siamo in mezzo a una esplosione mediatica su gay, gender, ecc. Qualche sera fa mi sono trovato due talk show nella stessa serata a parlare, o meglio, a schiamazzare su questi argomenti, e pure i tg mostrano immagini di gay o lesbiche che si scambiano effusioni. Tutto questo esibizionismo a me non va giù. E immagini la fatica di dover cercare che cosa raccontare ai ragazzini di fronte a queste scene.
Mi dica lei cosa devo rispondere a certe domande imbarazzanti? Ma nessuno dei signori dei mass media, tranne il nostro prezioso giornale, riesce a dire quel che è vero?
Gabriele Piazza, Castel del Rio (Bo)
 Posso semplicemente dirle, caro amico, che cosa ho detto io – assieme a mia moglie – alle mie figlie, in anni in cui l’offensiva “gender” qui da noi non era neppure cominciata. Ed è la stessa cosa che mia madre e mio padre (una maestra elementare e un professore di filosofia) mi avevano detto in un’Italia – come si ama dire oggi e come qualcuno vorrebbe – “che non c’è più” e che invece c’è ancora. Ho detto loro che esistono gli uomini e le donne, che sono fatti gli uni per le altre e viceversa. Che meritano rispetto sempre, anche se non sono santi e sante (ma tutti, proprio tutti, nessuno escluso, possono provare a diventarlo). Questa è la natura, e la nostra natura. Questo è il disegno del Creatore. Questa è la parola di Cristo. E questo è lo spazio più proprio dell’amore, che non si può ridurre a gesto di carne, a puro sesso, e neppure soltanto riproduzione di sé…Ho anche detto loro di non fidarsi mai degli intellettuali cortigiani, e di non credere alle cose comode e accattivanti che quei signori sanno far balenare davanti agli occhi, sulle pagine dei libri e dei giornali, dagli infiniti schermi di cui ormai disponiamo.Questo ho detto, sperando di riuscire a dirlo bene, cercando di tenere tutte le cose fondamentali al loro giusto posto, ma senza piegare dentro scatole preconfezionate l’incredibile e sorprendente vita che Dio ci ha dato. So che è stato solo l’inizio del discorso, caro signor Piazza. E vedo che mi tocca di continuarlo in molti modi (le mie figlie lo sanno, ma ogni tanto glielo ricordo ugualmente, quando scrivo penso sempre anche a loro). In certi casi, questo è difficile e duro, ma la maggior parte delle volte è semplicemente bello e necessario. La fatica di oggi è per molti aspetti diversa da quella di ieri, ma non è più grande. L’antica tentazione dell’uomo e della donna di “farsi dio” passa oggi anche per il delirio “gender”, per la pretesa di definirsi a prescindere dalla propria umana realtà e per l’orgoglio di ridurre la propria identità (e i propri diritti) all’uso che facciamo del corpo che ci è dato. Troppo, e troppo poco, perché possiamo rimanere senza parole, senza gesti controcorrente, senza vita buona da vivere. Possiamo solo dire ai figli tutto ciò che la vita è. Da dove viene, da chi viene. Non c’è confusione possibile su questo.