Vita

VITA. Figli in provetta, la pericolosa allergia alle regole

Ilaria Nava giovedì 15 novembre 2012
«Analogica-mente devono aver pensato che ciò che vale nel caso di una fecondazione naturale dovrebbe valere anche per quella artificiale. Il problema è che le due situazioni sono completamente diverse». Annamaria Poggi, ordinario di Diritto pubblico all’università di Torino, solleva più di una perplessità di fronte al recente emendamento firmato da Antonio Palagiano (Idv) a favore dell’anonimato del parto per le donne che hanno scelto la fecondazione assistita. La disposizione è stata votata in commissione Affari sociali alla Camera il 7 novembre in una seduta in cui molti deputati erano assenti. La norma (inserita nel ddl con «Norme riguardanti interventi in favore delle gestanti e delle madri volti a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati») andrebbe a modificare la legge 40, abrogando il secondo comma dell’articolo 9 che prevede che «la madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non essere nominata». Inoltre, prosegue la giurista, «la norma che tutela l’anonimato del parto è molto antica, risale al diritto romano e ha una ratio specifica. Il diritto di famiglia era molto penalizzante per la donna, per cui era necessaria una norma che la tutelasse; adesso fortunatamente non è più così, per cui mi chiedo che senso abbia ampliare questa previsione addirittura per donne che hanno scelto la fecondazione artificiale. Peraltro non è escluso che se venisse approvato porterebbe essere fonte di numerosi contenziosi. Ricordo una sentenza della Cassazione relativa a una coppia che aveva fatto la fecondazione artificiale e dopo il parto il padre aveva deciso di non riconoscere il figlio. La Cassazione in quella circostanza, richiamando il principio di solidarietà, disse che, nel caso della fecondazione artificiale, dopo avere dato il consenso informato il padre si impegna e non può ritirarlo».
Anche chi opera nel settore, come Claudio Manna, ginecologo, docente di Tecniche di riproduzione artificiale a Tor Vergata e responsabile di diversi centri di procreazione assistita, esprime dubbi sulla reale finalità dell’emendamento: «Mi sembra singolare. Non valuto sul piano giuridico, ma nella mia esperienza pluridecennale ho saputo di coppie che si sono separate dopo aver avuto un figlio con queste tecniche, ma mai di ipotesi o desideri di disconoscimento. Semmai il desiderio di genitorialità è più forte. Resto perplesso sull’origine di possibili azioni di un genitore nella direzione del disconoscimento di un figlio dopo la fecondazione assistita. Credo che la legge 40 sia oggetto di attenzioni particolari che a volte non sono immediatamente comprensibili».Ed è proprio la legge 40 a prescrivere che la coppia esprima il consenso informato all’inizio della procedura di procreazione artificiale. Un elemento che, secondo Eugenia Roccella, deputato del Pdl in Commissione affari sociali, contraddice l’emendamento appena approvato: «La legge 40 afferma chiaramente che la coppia debba esprimere il consenso informato, che può essere revocato fino al momento della fecondazione, e non successivamente. Dire che è abrogato il divieto di anonimato nel parto non tiene presente di questo elemento. Anche perché solitamente nel parto in anonimato la madre non indica chi è il padre; qui invece il padre ha firmato un consenso informato prima di iniziare la procedura di fecondazione. A mio parere nella procreazione assistita c’è un’assoluta intenzionalità che quindi corrisponde a una maggiore assunzione di responsabilità. In ogni caso, in questa disposizione è presente anche un aspetto di non protezione del nascituro che considero grave, oltre a una volontà di attaccare la legge 40 senza un reale confronto democratico ma con un blitz in commissione».
Di blitz parla anche Paola Binetti (Udc) che spiega che a livello procedurale Pdl, Udc e Lega si sono opposti all’approvazione in commissione in sede legislativa, senza passaggio in Aula: «Visto che in commissione non abbiamo discusso l’emendamento, preferiamo che passi anche dal voto dell’Aula. Credo che il metodo con cui è stato approvato abbia stravolto il senso e il valore della democrazia. Adesso siamo in attesa dei pareri delle altre commissioni. Fermo restando il rispetto della 194 sull’aborto e della legge che contiene questo emendamento, che comunque in sé è positiva perché tutela in generale l’anonimato nel parto, sono completamente contraria a un emendamento che contraddice la legge 40. Inoltre, credo svuoti la legge 40 del motivo per cui è stata approvata, che è il desiderio di maternità. La sterilità di coppia che è alla base della Pma implica un lungo itinerario psicologico con cui i potenziali genitori riaffermano la loro volontà di avere un figlio sottoponendosi a una fatica generativa generalmente molto più complessa di quella che debbono affrontare altre coppie».