Vita

Napoli. Eterologa e mercato, multinazionali in arrivo

Francesco Ognibene venerdì 13 febbraio 2015

Il business della fecondazione eterologa in Italia si annuncia interessante: e le multinazionali estere specializzate nel reperimento, stoccaggio e rivendita di gameti maschili e femminili preparano lo sbarco nel nostro Paese, confidando di riuscire a convivere in qualche modo con le regole che prevedono l’esclusivo controllo dello Stato sulla conservazione e il trapianto di cellule e tessuti umani, dal midollo agli organi. A Napoli è previsto il debutto pubblico in un convegno organizzato in un grande albergo della spagnola Ovobank, una delle grandi aziende protagoniste nel mercato europeo della fecondazione artificiale. La conferenza su «L’ovodocazione nella fecondazione eterologa» è, nel suo piccolo, un fatto epocale: per la prima volta si affaccia ufficialmente in Italia una società straniera specializzata nella commercializzazione della vita umana nel suo stadio germinale. Già sotto contratto con l’Ospedale Careggi di Firenze, che l’ha inserita tra i quattro partner europei per il reperimento dei gameti di "donatori" indispensabili per realizzare la fecondazione eterologa, Ovobank si definisce «la prima banca di ovociti europea». E tenta di mettere piede nel mercato italiano avendo colto che il momento è particolarmente propizio: dopo la sentenza con la quale la Corte Costituzionale nell’aprile 2014 ha fatto cadere il divieto di fecondazione in provetta con uno o entrambi i gameti estranei alla coppia contenuto nella legge 40, le Regioni che avevano dichiarato di essere pronte a dar corso al più presto alla controversa tecnica incoraggiando anzi le coppie infertili a farsi avanti e alimentando grandi attese si sono preso scontrate con la realtà che in altri Paesi è stata già toccata con mano da molti anni (come denunciava Avvenire sin dal 2005): non esistono "donatori" ma semmai uomini e soprattutto donne che vendono seme e ovociti a cifre da pattuire, sul libero mercato. È presto caduta così l’illusione di poter garantire la gratutità a lungo sbandierata come punto irrinunciabile dell’eterologa all’italiana, finché le Regioni hanno cominciato a ipotizzare un non meglio identificato "contributo" per indurre qualcuno a mettere a disposizione il proprio dna per far concepire ad altri figli che – comunque – resteranno geneticamente propri almeno per metà. Con gli immaginabili problemi di identità dei bambini e di anonimato dei "donatori". Lo sbarco delle multinazionali che si annuncia all’orizzonte è solo la conseguenza di questo pasticcio, al quale il Parlamento – cui il governo aveva ceduto la parola perché fissasse al più presto regole certe proprio per arginare il supermarket della vita – non ha posto in alcun modo riparo, nemmeno mettendo in calendario la discussione dei vari disegni di legge sin qui depositati. Ma altre leggi già vigono in Italia, e dovrebbero impedire che possa mettere radici un mercato senza regole. Un’osservatrice attenta delle vicende bioetiche italiane come Eugenia Roccella (Ncd) ha osservato che la notizia del debutto napoletano di Ovobank «ci sorprende profondamente poiché in Italia le biobanche, cioè le banche che conservano tessuti e cellule umane, sono pubbliche, con la sola eccezione dei centri di procreazione medicalmente assistita». La notizia, se vera – aggiunge l’ex sottosegretario alla Salute –, «pone quindi alcune domande: la biobanca ha le necessarie autorizzazioni? Se le ha, chi le ha concesse? Quali requisiti di sicurezza rispetta? E quali sono le condizioni della donazione: si tratta di compravendita o di vera donazione gratuita? L'Italia oggi, se non ci sarà un'attenta vigilanza, rischia di essere terra di conquista per le grandi biobanche straniere; se così avvenisse sarebbe definitivamente compromessa la grande tradizione di donazione solidaristica e gratuita che è sempre stata la caratteristica fondamentale del sistema sanitario italiano».