Vita

Fecondazione assistita. Le Regioni scelgono l'eterologa "comune"

Viviana Daloiso mercoledì 3 settembre 2014
Eterologa, nuovo capitolo. A scriverlo, stavolta, sono i tecnici e gli assessori alla sanità delle Regioni, che già oggi affideranno al tavolo di incontro tra i governatori il documento sulle ipotetiche linee guida da adottare nei centri per eseguire la tecnica.Un testo che – nonostante le roboanti dichiarazioni della Toscana («rispecchia al 99% la nostra delibera») – si discosta in alcuni punti chiave da quanto previsto a Firenze e dintorni. A cominciare dal rischio concreto dell’apertura a una selezione eugenetica dei donatori, che proprio nella delibera toscana poteva trovare un’inquietante legittimazione laddove si richiedeva che oltre all’etnia si dovessero indicare colore di occhi, capelli e persino della carnagione. «Non è possibile per i pazienti scegliere particolari caratteristiche fenotipiche del donatore al fine di evitare illegittime selezioni eugenetiche», si precisa nel documento licenziato ieri dagli assessori, anche se poi si aggiunge che spetterà comunque alle cliniche cercare una «ragionevole compatibilità» tra donatori e riceventi, soprattutto per quanto concerne la (molto dibattuta in aula) questione della razza. Altra differenza, le età previste per accedere alla tecnica: nel testo concordato si fissa il paletto di 43 anni per la donna ricevente (in quella toscana si indicava solo il generico limite dell’età fertile), di 20-35 anni per le donne donatrici (in Toscana si anticipava ai 18) e 18-40 per i donatori (in Toscana si prolungava ai 50). Ancora, si prevede un limite massimo di 10 nati per ogni donatore (con l’unica deroga che la coppia che ha già avuto un figlio da eterologa potrà però chiedere di averne altri con lo stesso donatore), si stabilisce con forza e in ogni caso l’anonimato del donatore (inizialmente erano circolate indiscrezioni sulla possibilità che i figli a 25 anni potessero chiederne e, previo ok dello stesso donatore, conoscerne l’identità), si prevede la gratuità del trattamento nelle strutture pubbliche (un argomento su cui però il confronto è ancora acceso: il costo della procedura si aggirerà tra i 2.500 e i 3.200 euro e sarebbe a carico del Servizio sanitario regionale finché il governo non dovesse decidere di inserire la pratica nei Livelli essenziali di assistenza).Dettagli tecnici a parte, il risultato del tavolo di mercoledì ha finito col soddisfare tutti: «Il dibattito è stato attento ed equilibrato», spiega l’assessore alla Sanità del Piemonte Antonio Saitta, aggiungendo che «una volta approvato il testo anche dai governatori tutte le Regioni potranno procedere a una deliberazione comune, e anche la Toscana si dovrà adeguare». Un punto di vista condiviso dal collega lombardo Mario Mantovani, secondo cui «si è evitato il Far West e ora si può procedere con ordine ed equilibrio, anche se i rischi sono moltissimi».Già, i rischi, che poi quando si parla di salute dovrebbero venire prima di tutto. La verità tuttavia – accordo tra Regioni o meno – è che in mancanza di una legge nazionale niente potrà essere sicuro, col risultato che a non essere tutelati saranno in primis i pazienti. Lo ha sottolineato anche il ministro Beatrice Lorenzin, che è intervenuta per sottolineare come sia positivo, sì, l’asse comune sul territorio ma come «allo stato attuale non ci sia nessun centro autorizzato per l’eterologa» (autorizzazione che ancora non è stata recepita a livello nazionale per la nuova attività prevista dall’eterologa, cioè la selezione del donatore). Una lacuna a cui si aggiunge quella altrettanto grave di un Registro nazionale dei donatori, senza il quale risulta impossibile garantire la completa e obiettiva tracciabilità di donatori e gameti, con rischi enormi per esempio sulla possibile consanguineità. E ancora, la fragilità normativa di un accordo tra Regioni, oltre a non comportare sanzioni per chi vi contravviene, potrebbe aprire a contenziosi e rivendicazioni giuridiche di ogni tipo a livello dei tribunali amministrativi. Rischi che, come ha sottolineato Eugenia Roccella, parlamentare Ncd e Vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera, «renderanno fortemente problematica l’eterologa nei centri pubblici» finendo col favorire soltanto il business delle cliniche private. Proprio quelle da cui è partita con forza la battaglia per l’eterologa.