Vita

Bologna. Figli di coppia omosessuale diventano fratelli per legge

Luciano Moia venerdì 10 luglio 2020

Bambini a scuola

I figli di due persone omosessuali unite civilmente possono essere considerati fratelli dal diritto anche al di là del dato biologico. È quanto stabilito dalla sentenza pronunciata dal presidente del Tribunale dei minori di Bologna, Giuseppe Spadaro.

Una “prima” assoluta per la legge italiana, con un’interpretazione estensiva della legge sull’adozione – la 184 del 1983 - che assume una duplice valenza. Da una parte offre nuovi argomenti per colmare ancora un po’ il divario esistente, in termini sostanziali e simbolici, tra famiglie fondate sul matrimonio eterosessuale e unioni omogenitoriali.

Dall’altra apre nuovi interrogativi nella prospettiva di una rivoluzione antropologica in cui si sempre più fa fatica a comprendere se sia il diritto ad adeguarsi alla realtà o la vita concreta delle persone e il comune modo di pensare a doversi modellare sulle interpretazioni dei giudici.

La vicenda riguarda due donne residenti in Emilia Romagna, unite civilmente. Una è madre biologica di una figlia di 9 anni. L’altra madre a sua volta di due gemelli di 5. Ognuna delle madri ha fatto richiesta di adozione speciale incrociata nei confronti dei figli dell’altra. Il Tribunale di Bologna non solo ha sancito la legittimità della richiesta adottiva con una doppia sentenza – e questo è già avvenuto in altri casi – ma ha stabilito anche che i tre bambini devono essere considerati fratelli sotto il profilo giuridico.

Una decisione motivata – si legge - con l’intento di superare ogni discriminazione tra figli adottivi in nome del superiore interesse dei minori. “Una sentenza che finalmente rispecchia la realtà dei fatti – ha commentato il presidente di Famiglie Arcobaleno, Gianfranco Goretti, che la sostenuto il cammino giudiziario delle due mamme – perché con questa sentenza viene rispecchiata la realtà dei fatti, ovvero che quei bambini hanno due mamme e che tra loro sono fratelli anche per lo Stato”.

La sentenza è nata sulla base di un’interpretazione innovativa dell’articolo 44 “lettera d” della legge sulle adozioni che, com’è noto, disciplina l’adozione in casi speciali. Nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto essere riferito solo ai casi di adozioni dei maggiorenni, oppure all’adozione del figlio del coniuge, oppure per gli orfani in condizioni di disabilità. Ora però, anche alla luce delle modifiche apportate dalla legge 76 del 2016, che ha parzialmente riformato la norma del 1983, può essere superato il principio secondo cui nell’applicazione dell’articolo 44 occorreva rispettare il legame del minore con la sua famiglia d’origine. In quella logica veniva formalizzato il rapporto affettivo del bambino e del ragazzo con chi si stava occupando di lui, ma senza recidere i legami precedenti e, soprattutto, senza creare vincoli con i figli dei genitori o del genitore adottante.

Nel caso delle due mamme omosessuali – fa notare il tribunale – la situazione è completamente diversa. Non c’erano “famiglie d’origine” da tutelare e le donne avevano chiesto esplicitamente che venisse riconosciuto il rapporto di parentela tra l’adottato e gli altri figli della coppia. Richiesta accolta perché da un lato, si legge nella sentenza, il Tribunale si è preoccupato, di evitare le conseguenze che si sarebbero potute verificare nella vita dei minori – così come sulla loro identità e sul loro miglior interesse – in una condizione familiare in cui avessero il medesimo cognome e gli stessi legami familiari ma una condizione giuridica che li avesse visti “estranei gli uni dagli altri, pur nella comunanza di vita”.

Scelta obbligata? Si, se fosse presa una decisione contraria – si spiega - si sarebbe corso il rischio di “negare sul piano degli effetti giuridici ciò che avviene, con pienezza, sul piano delle relazioni esistenziali, pregiudicando le relazioni del minore con la propria cerchia parentale”.

Insomma, l’obiettivo del presidente Giuseppe Spadaro è stato quello di evitare una “distorsione tra realtà fattuale e giuridica” nel rispetto delle concrete esperienze di vita coinvolte nella sentenza. Tutto chiaro e coerente, probabilmente, in punta di diritto. Ma le domande relative a questi nuovi assetti familiari e alle loro conseguenze sulla ridefinizione delle relazioni affettive rimangono tante, gravi e difficili. Improbabile che possano essere soddisfatte solo a colpi di sentenze.