Vita

L'ultima intervista. Casini: aborto, ogni anno scompare una città come Novara

Viviana Daloiso lunedì 23 marzo 2020

Carlo Casini

L'intervista a Carlo Casini, scomparso oggi nella sua casa di Roma dopo una lunga malattia, è tratta da "Noi Genitori & Figli" in edicola il 25 gennaio 2015 con "Avvenire". Si trattava di un numero speciale, dedicato alla 37esima Giornata per la vita, che la Chiesa italiana celebrava domenica 1° febbraio 2015.

L’impegno per ciò che è «seminato nella debolezza» Carlo Casini lo conosce a memoria. E ogni giorno lo rinnova con la stessa passione. Sulla scrivania del presidente del Movimento per la vita si accumulano numeri, plichi, fogli: lui li sposta da destra a sinistra ricordando le battaglie, le delusioni, le grandi vittorie. In testa un unico, costante obiettivo: dare dignità a chi non può prendersela da solo. Dare voce e diritti all’essere umano che germoglia nel grembo di una donna.

In pieno inverno demografico, con le scuole destinate a svuotarsi nel giro di pochi anni, l’Italia butta ancora via centomila nuove vite ogni anno. Il numero è in calo, ma è ancora enorme. Quali sono le radici e le conseguenze di questa contraddizione?

Il numero degli aborti è davvero enorme. Secondo l’ultima relazione ministeriale quelli noti, certificati dagli ospedali, sono stati 107.192 nel 2012 e 102.644 nel 2013, ma quest’ultimo dato è incompleto. Ciò significa che ogni anno scompare una città grande pressappoco come Novara, Bergamo, Piacenza, Trento, Forlì, Siracusa, più grande di Pisa, Lecce, Catanzaro... Se poi facciamo la somma di tutte le interruzioni volontarie di gravidanza dall’entrata in vigore della legge 194, cioè dal 5 giugno 1979, otteniamo la cifra di 5.541.421. è un numero più alto della popolazione di Roma e Milano messe insieme. Il problema vero però – e non mi stancherò mai di dirlo – è che si tratta di cifre molto inferiori alla realtà. Pe valutare appieno la tragedia bisogna aggiungere gli aborti clandestini chirurgici e quelli – ormai innumerevoli – “chimici” prodotti dalle varie pillole (del giorno dopo, dei cinque giorni dopo). Senza contare, poi, il facile uso di medicamenti antiulcera, che hanno lo stesso effetto della pillola Ru486. Insomma, la diminuzione degli aborti registrati ufficialmente non dimostra una reale diminuzione nella misura che viene propagandata come prova della “bontà” della legge. Basti pensare, come dimostra l’ultimo Rapporto del Movimento per la vita, che – a causa del crollo delle nascite – il numero delle donne di età in cui è massima la fertilità, tra i 20 e i 35 anni, è diminuita tra il 1983 e il 2011 di ben 2.083.335 unità. Il che, ovviamente, determina una minor quantità di concepimenti e quindi di aborti.

Quindi se tutti questi figli, o almeno la maggior parte di essi, fossero sopravvissuti non vi sarebbe l’attuale preoccupazione per il crollo demografico?

Certo, peraltro l’argomento demografico è debole nel contrastare l’aborto perché è di tipo economico e riguarda il futuro mentre molti pensano soltanto al proprio tornaconto individuale e attuale. Naturalmente vi è una contraddizione, ma la più grave è quella che ha denunciato Papa Francesco con poche parole al Parlamento Europeo, ricordando i «bambini uccisi prima di nascere». Il concepito è un essere umano: egli deve essere considerato un bambino proprio come quello che, ritrovato in un cassonetto, fa inorridire tutti.

A proposito di contraddizioni, in questi ultimi mesi si è infiammato nel nostro Paese il dibattito sulla fecondazione artificiale eterologa: a una cultura riduttivistica dell’aborto (per cui si vogliono pillole fai da te dispensate addirittura in farmacia e interruzioni di gravidanza autorizzate in consultorio) si contrappone quella del figlio ad ogni costo, con ogni mezzo.

La dispersione di ovuli fecondati non è altro che la morte provocata di embrioni appena concepiti in provetta. Perciò è un rischio inerente ad ogni fecondazione in vitro, omologa od eterologa che sia. La legge 40 del 2004 aveva cercato di limitare tale rischio disponendo che ad ogni embrione dovesse essere data una speranza di vita mediante il suo immediato trasferimento nel seno materno. Purtroppo la “cultura dello scarto” ha prevalso nella Corte Costituzionale che ha molto attenuato questa disposizione: ora, con la legittimazione dell’eterologa, è intervenuta una demolizione ancora più grave del confine che la legge aveva costruito. Ogni bambino ha diritto ad avere un padre ed una madre certi ed ha diritto di conoscerli. Ridurre il figlio ad un prodotto, commercializzarne l’origine, peggio ancora: tradire la maternità nella sua prima iniziale fase, che è un continuo abbraccio che più intimo non si può, cuore a cuore, fra madre e figlio, è davvero qualcosa di inaccettabile.

Le parole dei vescovi nel “messaggio” sembrano raccontare quello che ogni giorno accade negli oltre 300 Cav sparsi lungo la Penisola, che accolgono, aiutano, accompagnano le donne nell’esperienza straordinaria che è la maternità. Un’opera ancora solitaria, ma quanto efficace?

Non bisogna mai dimenticare che la Giornata per la vita è stata istituita all’indomani della approvazione della legge che ha legalizzato l’aborto per dimostrare che «la Chiesa non si rassegna e non si rassegnerà mai». A proposito del rifiuto di rassegnarsi io ricordo con commozione le parole del Presidente della Cei, il cardinal Bagnasco, nella prolusione della assemblea generale dei Vescovi nel maggio 2011: «Il Movimento per la vita ha avuto una fondamentale funzione nel tenere sveglia la coscienza degli italiani (...). Se nella cultura italiana l’opzione abortiva non è divenuta un normale dato di fatto molto lo si deve all’iniziativa di questo volontariato». Il servizio dei Cav ha lo scopo di salvare il figlio non contro la madre, ma insieme alla madre. La nostra esperienza ci dice che il comune denominatore dell’aborto è quasi sempre la solitudine. Bisogna risvegliare il naturale coraggio e l’istinto di accoglienza della donna. Ma, certo, non bastano le parole. Occorre una efficace condivisione delle difficoltà in un contesto di durevole affettuosa amicizia. Questo può essere fatto principalmente dal volontariato. I risultati ci sono.

Nel 2013 salvati dai Cav oltre 10mila bambini

Nel 2013 i 205 Cav hanno aiutato a nascere 10.291 bambini su cui pendeva un rischio di aborto. La cifra è inferiore alla realtà perché gli altri 133 Cav che non hanno inviato l’informazione, lavorano anche essi spesso in modo molto esteso. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. «Ho sempre ripetuto – spiega Carlo Casini - che i Cav devono essere l’espressione di una intera comunità che accoglie. Penso a quella parrocchia che chiede ad ogni parrocchiano 5 euro al mese per realizzare Progetti Gemma («Adotta una mamma, salvi il suo bambino») ed espone nella chiesa le foto dei bimbi così nati di cui tutta la comunità si sente co-genitrice. Penso che se ogni parrocchia d’Italia ogni anno facesse un solo Progetto Gemma sarebbe raddoppiato il numero di bambini salvati dall’aborto».

“Uno di noi”, 2 milioni di firme. E la battaglia va avanti

"Uno di noi" si proponeva di bloccare i finanziamenti Ue alle organizzazioni che propagandano l'aborto e la ricerca distruttiva di embrioni umani. Abbiamo raccolto più di due milioni di adesioni nei 28 paesi Ue, ma la Commissione esecutiva ha deciso di non dare seguito alla nostra iniziativa. Da parte delle istituzioni non c’è stata una presa di coscienza. Ma il bilancio dell’iniziativa è tutt’altro che negativo. Se le istituzioni hanno ancora una volta chiuso gli occhi, molti cittadini li hanno, invece, aperti. La stessa iniziativa respinta dalla Commissione di Bruxelles e non è terminata: è in atto un ricorso alla Corte europea di Giustizia e stiamo preparando una petizione - testimonianza di medici, (quelli che conoscono la vita), di giuristi (i servitori della giustizia), di politici (che dovrebbero perseguire il bene comune, cioè di tutti) affinché il nuovo parlamento europeo e la nuova Commissione riprendano in esame l'iniziativa.