Vita

La difesa della vita. Belgio, chiede eutanasia in carcere

Elena Molinari mercoledì 8 gennaio 2014
A 20 anni è stato condannato all’ergastolo per stupro e omicidio. Da 30 è rinchiuso in un carcere belga, in isolamento per 23 ore al giorno, senza ricevere, a suo dire, le cure che la sua malattia mentale richiede. Ora Frank van den Bleeken vuole morire. Poiché in Belgio non esiste la pena di morte, il 50enne ha chiesto l’eutanasia – questa sì permessa nel Paese europeo. «Due psichiatri di fama hanno visitato Frank e hanno concluso che quest’uomo soffre in modo continuo a causa della sua condizione mentale – ha spiegato l’avvocato del detenuto, Jos Van Der Velpen – per questo chiede di essere ucciso: perché soffre in modo insopportabile». Il caso spinge però la legge sull’eutanasia belga ai suoi limiti. Riaccendendo la polemica. Van den Bleeken non è un malato terminale, non prova dolore fisico e le stesse turbe mentali che lo hanno spinto a commettere reati orribili in gioventù fanno dubitare della sua capacità di chiedere coscientemente la morte. Il livello di disperazione che ha raggiunto dietro le sbarre mette in luce inoltre le condizioni carcerarie in Belgio, criticato numerose volte dalla Corte europea per i diritti umani per non aver fornito terapie psicologiche adeguate ai criminali con problemi psichiatrici, imprigionati in condizioni definite «squallide».«La mia vita non ha assolutamente significato – ha detto l’ergastolano – potrebbero benissimo mettere un vaso di fiori al mio posto». Lo scorso gennaio la Corte europea ha concesso risarcimenti pecuniari a mille carcerati con problemi mentali che avevano fatto causa al governo belga, riconoscendo che erano stati rinchiusi in istituti sovraffollati che cadevano a pezzi, senza l’assistenza di personale specializzato. Prima di chiedere al ministero per la Giustizia belga il permesso di ricevere un’iniezione letale, Van den Bleeken ha presentato una petizione di essere inviato a un carcere psichiatrico olandese, in nome di un accordo fra i due Paesi che permette scambi di detenuti per evitare il sovraffollamento. Ma il trasferimento non è stato possibile. Ora l’ergastolano ha fatto causa alla ministra alla Giustizia belga Annemie Turtelboom, esigendo misure correttive immediate. Oppure la morte. Da quando il Belgio ha legalizzato l’eutanasia, nel 2002, la sua applicazione si è gradualmente estesa. E lo scorso mese il Senato statale ha approvato l’inclusione dei bambini fra le categorie che hanno “diritto” ad esigere un’iniezione che metta fine alla loro vita. Uno studio pubblicato lo scorso giugno dall’associazione dei medici canadesi (in Quebec è in discussione la legalizzazione dell’eutanasia) ha evidenziato che un terzo dei casi di eutanasia nella regione fiamminga del Belgio (una delle tre dello Stato) sono stati portati a termine senza l’esplicita richiesta del paziente, poiché questi era inconscio o affetto da senilità tale da non poter dare il suo consenso. In quei casi a decidere la morte del paziente è stato il suo medico. Ancora più allarmanti sono i casi in cui è un infermiere ad amministrare l’iniezione letale. In quelle circostanze, in tutto il Belgio, la percentuale di morti senza esplicito consenso sale al 45%. È stato lo stesso studio a concludere che i dati confermano la presenza di «gruppi di pazienti vulnerabili a rischio di finire la loro vita prematuramente contro la loro volontà». Ha fatto notizia invece ieri il caso di Emiel Pauwels, 95enne e malato di cancro terminale allo stomaco, considerato l’atleta vivente più vecchio del Belgio, che ieri si è sottoposto a iniezione letale nella sua casa di Bruges, con il figlio Eddy al fianco, dopo aver salutato parenti e amici. Il numero delle morti assistite in Belgio è in crescita. Sono state 954 nel 2010 e 1133 l’anno successivo, prima di impennarsi a 1432 nel 2012, con un aumento del 25%.