Vita

Il caso di Mario. «Suicidio assistito, solo una legge può dare risposte»

Vincenzo Varagona lunedì 20 dicembre 2021

Si sta sempre più avvitando attorno alla necessità di una legge la vicenda di Mario, 43 anni, tetraplegico marchigiano, rimasto vittima di un incidente stradale, che chiede di poter ricorrere al suicidio assistito facendo leva sulla sentenza Cappato-dj Fabo della Corte Costituzionale. L'ultimo passaggio è relativo a una comunicazione del Comitato etico regionale marchigiano (Cerm), investito della questione dalla Regione, dopo una prima pronuncia dello stesso Cerm. Secondo la sentenza della Corte, la Regione doveva chiedere un parere al Comitato, che aveva riconosciuto la sussistenza di alcuni requisiti previsti dalla suprema Corte affermando tuttavia i propri dubbi sul farmaco e sul suo dosaggio letale.

La Regione aveva chiesto ulteriori chiarimenti allo stesso Comitato, e nello stesso tempo si era rivolta all'Avvocatura di Stato per un orientamento. Quest'ultima, da una parte ha sostenuto la necessità di una pronuncia dei giudici, dall'altra ha ribadito come indispensabile una legge dello Stato che traduca in norma la pronuncia della Corte.
Ora il Cerm risponde all'Asur, sostenendo di non avere nulla da aggiungere a quanto già affermato: «Il Comitato – si legge – ha già risposto ai quesiti, tra cui quelli in merito al farmaco, e a quelle considerazioni si rimanda, non ritenendo necessario modificarle o integrare quanto già espresso. Come previsto dalla sentenza 242 del 2019 della Corte Costituzionale – prosegue – rimane in capo al Servizio sanitario la gestione operativa della procedura».

Il presidente del Cerm, Paolo Pelaia, ribadisce l'estraneità del Comitato a «querelle legali» sulla vicenda, e cita un protocollo operativo su casi di suicidio assistito della Commissione di bioetica della Regione Toscana che indica come la «gestione operativa» sia in capo al Servizio sanitario. Sul problema del farmaco, si legge, «il paziente è seguito da un medico anestesista: chi è deputato a decidere l'aspetto operativo potrebbe quindi mettersi in contatto e definire insieme al medico curante come procedere». Il presidente del Cerm ricorda inoltre l'esistenza di protocolli in Svizzera e Olanda – Paesi nei quali tuttavia il suicidio assistito è già legale, nei Paesi Bassi anche l’eutanasia –, anche se in Italia si naviga a vista non essendoci una legge e neanche un'esperienza in materia.

A fronte di queste comunicazioni, Mario, attraverso l'Associazione radicale Luca Coscioni, dopo aver rilanciato l'azione legale annunciando la denuncia della Regione per il reato penale di tortura, ha scritto una lettera aperta letta nel corso di un appuntamento dell'Associazione per l'anniversario della vicenda Welby: «Quello che mi sta facendo più male – scrive – è che mi stanno uccidendo dentro, nell'anima, psicologicamente. Mi stanno svuotando, ma quel che è peggio è che i responsabili di questi comportamenti sono le persone che fanno le leggi e chiedono a noi cittadini di rispettarle, ma loro i primi a non rispettarle. Sono allo stremo delle forze fisiche e mentali – conclude – e spero che quando qualcun altro deciderà di ripercorrere la mia strada i tempi saranno cambiati, perché vi giuro che un malato grave non può e non deve aspettare 16 mesi, è inaccettabile e di una crudeltà inaudita».

Le autorità sanitarie della Regione hanno ribadito il loro impegno per garantire a Mario un’assistenza all’altezza della gravità della sua situazione, mentre il nuovo pronunciamento del Comitato etico ha confermato quanto Avvenire aveva dimostrato affermando che il parere del Cerm non costituiva un via libera alla morte medicalmente assistita del paziente.