Vita

LE SFIDE ALLA VITA. «Embrioni talassemici la selezione è da fare»

Francesco Ognibene venerdì 16 novembre 2012
Il primo ricorso contro la legge 40 era scattato su un caso di talassemia (Catania, 2004), ora un altro caso di talassemia dà lo spunto per l’ennesimo assalto giudiziario alla norma che regolamenta la fecondazione artificiale in Italia, oggetto di ripetuti attacchi. I tenaci oppositori della legge non passano attraverso il Parlamento ma ricorrono ai tribunali (italiani ed europei) per prendere di mira le poche ma essenziali garanzie a tutela della vita umana nella sua forma embrionale, la più vulnerabile e dunque meritevole delle massime tutele. La nuova sortita, annunciata ieri dall’associazione radicale Luca Coscioni (che sembra avere un conto in sospeso con la legge 40 dopo la bruciante sconfitta nel referendum abrogativo del 2005), arriva ancora dal tribunale di Cagliari, come il ricorso che 8 anni fa si risolse poi nel rigetto da parte della Corte Costituzionale. I fatti: una coppia sarda infertile in cui la donna è malata di talassemia e l’uomo è portatore sano della stessa anomalia genetica ha chiesto all’Ospedale Microcitemico della città di effettuare la diagnosi preimpianto sugli embrioni realizzati durante il ciclo di fecondazione artificiale col quale intendono procreare un figlio. La richiesta è stata però respinta dal Laboratorio di genetica molecolare della II Clinica pediatrica, il cui responsabile ha applicato il divieto esplicito di diagnosi preimpianto tuttora codificato dalla legge 40 (articolo 13, terzo comma, mai toccato dalla Consulta: è vietata «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni», e la selezione altro non è se non eugenetica, ovvero scartare gli embrioni malati salvando solo i sani). La coppia a questo punto si è rivolta al tribunale per chiedere di ordinare la diagnosi preimpianto, cosa che il giudice ora fa con un’ordinanza riferita al solo caso dei ricorrenti. Una vicenda del tutto analoga, peraltro, approdò nel gennaio 2010 al Tribunale di Salerno – sempre con l’appoggio politico e legale dei radicali, e col medesimo esito –, sortendo effetti solo per la coppia ricorrente. La legge 40 dunque non viene toccata neppure da questo nuovo ricorso, anche se una volta ancora l’associazione Coscioni annuncia una pioggia di carte bollate in arrivo.Il giudice di Cagliari sostiene che «non vi è dubbio che la diagnosi genetica preimpianto debba considerarsi pienamente ammissibile» perché «deve essere ancora una volta ribadito» come «la salute della donna prevalga sull’interesse alla integrità dell’embrione». Argomento che però fa a pugni con l’articolo 1 della 40, nel quale si afferma che la legge «assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Ma all’embrione creato e scartato verrebbe negato o quantomeno minacciato (nel caso di congelamento sine die) il diritto alla vita, con una discriminazione palese rispetto all’embrione impiantato in utero. L’ordinanza nega che la selezione conseguente all’individuazione dell’embrione (forse) sano tra quelli realizzati in laboratorio faccia parte delle «pratiche eugenetiche» vietate dalla legge 40, prevalendo invece il «grave pericolo per la salute psico-fisica della donna» per via di «importanti anomalie del concepito». Ma questa interpretazione pare estranea all’impianto della legge, costruita sul bilanciamento dei diritti di genitori e figlio in provetta e non sulla prevaricazione degli uni sull’altro.La parte innovativa dell’ordinanza è là dove dispone che l’ospedale di Cagliari si doti dell’attrezzatura per le diagnosi preimpianto, di cui oggi dispongono pochissimi centri privati. Un caso singolare di un tribunale che si sostituisce alle autorità sanitarie e ordina quali attrezzature comprare.