Vita

Il caso. «Down? Abortisci e riprova». Poi lo scienziato si scusa

Annalisa Guglielmino venerdì 22 agosto 2014
Tutta colpa di Twitter, e dei suoi "soli" 140 caratteri. Si è giustificato così, il biologo Richard Dawkins, dopo le critiche piovutegli addosso da tutto il mondo: lo studioso inglese, academico di Oxford, "orgogliosamente" ateo e già pur troppo famoso per le sue uscite discriminatorie, ha scritto su Twitter a una donna incinta di un bambino down che gli esprimeva il suo «dilemma», di «abortire e tentare di nuovo», perché «è immorale metterlo al mondo se si ha a possibilità di scegliere». Intendiamoci, argomenta il discusso scienziato sul suo sito Richard Dawkins Foundation, lui aveva risposto solo a quella particolare signora, con tanto di "@" prima del nome, e non intendeva coinvolgere nella loro "privata" conversazione il milione di followers presenti, compiaciuti loro, sul suo profilo. «La risposta che ho dato a quella donna che non sapeva se proseguire o meno la sua gravidanza, dopo avere scoperto che il feto era Down - scrive - non era rivolta al milione di persone che mi segue, ma solo a quella minoranza che seguiva il dialogo tra me e lei. Questa era la mia intenzione». E fa seguire una sorta di lettera, ccontenente ciò che avrebbe scritto se la tirannia del social non gli avesse consentito al massimo 140 caratteri. La missiva inizia così: «Ovviamente la scelta è tua. La mia personale scelta sarebbe di abortire un feto Down e, presumendo che tu voglia un bambino, tentare di nuovo. Potendo scegliere liberamente tra l'abortire subito o far venire al mondo, deliberatamente, un bambino Down, credo che abortire sarebbe una scelta morale e sensibile». E continua: questa è la scelta della maggior parte delle donne, in America e soprattutto in Europa. Se la tua morale è basata, e la mia lo è, sul desiderio di aumentare la felicità e ridurre la sofferenza, la decisione di far nascere coscientemente un bambino Down, quando si può scegliere all'inizio della gravidanza, potrebbe essere immorale dal punto di vista del benessere del bambino». Neanche con qualche migliaio di caratteri in più a sua disposizione la sostanza sarebbe cambiata. Potrebbe pure scriverci sopra un bel libro (in fondo ha raggiunto la fama definitiva pubblicando nel 2006 il discusso L'illusione di Dio. Le ragioni per non credere): non riuscirebbe a spiegare al mondo intero il suo pensiero meglio di quanto non abbia già fatto. Abbiamo capito tutti benissimo, dottor Dawkins, grazie. Perfino il popolo della rete (come i suoi followers che simpatizzano per la t-shirt "Religione, insieme possiamo trovare la cura", sfoggiata come una bandiera sul profilo social) lo ha criticato. Lui ha scritto un tweet piccato, con cui tagliare la testa al toro: «Quindi io sarei un orrido mostro solo per aver consigliato di fare ciò che accade realmente alla maggior parte dei feti affetti dalla Sindrome di Down. E cioè: vengono abortiti». Pensava di dire l'ultima parola, e invece giù ancora polemiche. E dai (Twitter non ha poi tutte le colpe...) con ancor più notorietà. Sulla testa di un bambino non ancora nato, a oggi anonimo, ma per fortuna già pieno di sostenitori in tutto il mondo. Altro che un milione di followers, dottor Dawkins.