Vita

Terza puntata di "Vieni via con me": non li hanno fatti parlare. Quella deludente fiera del non detto

Lucia Bellaspiga mercoledì 24 novembre 2010
Encefalo-gramma: piatto. Capacità di reazione: prossima allo zero. Diagnosi infausta per lo stracult televisivo del momento, per il programma fiore all’occhiello di Rai3. La terza puntata di "Vieni via con me" è stata anche la fiera del "non detto", dell’evocato eppure dell’elusivo, del benintenzionato e infine del deludente. Snobbata la povera e popolare sollevazione di chi nella seconda puntata non si era affatto riconsociuto nelle parole di Fazio-Saviano-Englaro-Welby, di chi da quei proclami apertamente o velatamente eutanasici si era sentito umiliato e negato. Non hanno sortito effetto gli appelli dei cittadini che, per un’intera settimana, hanno intasato centralini e caselle di posta elettronica (possibile solo i nostri, possibile che alla Rai nessuno abbia chiamato e scritto?) per chiedere diritto di replica. Assoluta indifferenza anche di fronte al crescendo bipartisan di proteste dal mondo della politica. «Fateli parlare», si era chiesto e non per par condicio ma per verità. Fate parlare Mario Melazzini, Fulvio De Nigris, Maria Pia Bonanate e tanti altri. I protagonisti di una lotta quotidiana per il diritto alla vita: i malati gravi, i familiari che se ne fanno carico (spesso in assoluta solitudine e mancanza vergognosa di mezzi), i genitori delle migliaia di ragazzi in stato vegetativo, i parenti di chiunque si trovi ad affrontare il dramma della malattia e una vecchiaia estrema e dura. Dopo la puntata del 15 novembre, vero e proprio inno alla morte e spot all’eutanasia, ci si aspettava spazio per le altre voci. Per chi soffre e lotta. E per chi sta accanto stravolgendo e, sì, "perdendo" la propria vita, perché semplicemente non saprebbe fare altrimenti. Dopo aver sentito per l’ennesima volta le parole, sempre le stesse da anni, di Beppino Englaro, si poteva sperare di sentire quelle inedite di Lucrezia ed Ernesto, mamma e papà di Max Tresoldi, e per gli amanti dello share possiamo assicurare che sarebbe stato un bel picco verso l’alto: per dieci anni Max è rimasto in stato vegetativo, era un «senza speranza», «un cervello bruciato come una centralina cui hanno tagliato i fili», come i medici dicevano alla famiglia perché non si attendesse un impossibile miglioramento. Oggi nessun neurologo sa spiegare perché Max è sveglio e racconta che «in quei dieci anni sentivo tutto ciò che accadeva intorno a me, io c’ero e non potevo dirvelo»... Da pelle d’oca, televisivamente parlando. E umanamente, per tutti noi.E invece la terza puntata è stata appunto il trionfo del "non detto", il tema era nell’aria e non arrivava mai. Per rimediare in qualche modo al «finto pluralismo» e all’autentica sconcezza della settimana precedente autori e conduttori hanno fatto i buoni. C’era anche un disabile, stavolta (il comico David Anzalone, innamorato dell’Olanda: sarà pure il Paese dell’eutanasia, ma «lì il sesso a noi handicappati ce lo passa la mutua!»). E c’era un sacerdote antimafia, don Giacomo Panizza, voce chiara e schiena dritta, umile e diretto nell’andare per la sua strada (lui sì) di lotta alla criminalità e aiuto ai disabili. «Non ti ringrazieremo mai abbastanza», ha sussurrato Fazio rivolto a Saviano, meritevole forse di aver individuato una figura così alta. Giusto, e sbagliato. Perché don Giacomo non poteva dire più e meglio di quel che ha detto. Non poteva riempire il "non detto".«Ci sentiamo ancora più soli», gridano coloro che di nuovo non hanno avuto voce. E intanto Fazio (certo appagato dai numeri dell’Auditel) promette un’ultima puntata lunga fino a mezzanotte. Ma è stato proprio lui – tra i suoi «desideri impossibili» – a declamare come «salire nei sondaggi sia meno importante che dire una cosa giusta». E allora a lui e Saviano lo ripetiamo noi: lunedì prossimo fate finalmente la cosa giusta. Signori della Rai, fateli parlare.