Vita

Intervista. L'arcivescovo di Parigi Aupetit: la vita merita di più

Daniele Zappalà, Parigi giovedì 24 settembre 2020

L'arcivescovo di Parigi Aupetit

La vita che forma la pasta comune dell’umanità e la vita che prorompe come annuncio d’amore fra le mura domestiche. Oltre mezzo secolo dopo l’enciclica Humanae Vitae del santo papa Paolo VI, monsignor Michel Aupetit, arcivescovo di Parigi, con lunghi trascorsi di medico, ha dato alle stampe il volume Humanae Vitae: une prophétie (Salvator). Una riflessione rivolta a tutti per evidenziare l’attualità di un’enciclica citata non a caso anche da papa Francesco, come l’arcivescovo ricorda in questa intervista concessa ad Avvenire.

Lei sottolinea il carattere profetico di «Humanae Vitae». Quali aspetti la colpiscono di più in quest’enciclica?

Se è vero profeta chi vede realizzarsi ciò che ha annunciato, è straordinario constatare come il papa santo Paolo VI avesse rivelato tutto ciò che constatiamo oggi. In effetti, annunciava che i metodi artificiali avrebbero aperto «una via larga e facile all’infedeltà coniugale e all’abbassamento generale della moralità». Basta passeggiare nei corridoi della metropolitana per vedere le pubblicità dei siti specializzati nell’adulterio. D’altra parte, egli temeva la perdita del rispetto verso la donna da parte dell’uomo che, abituandosi all’uso di pratiche anticoncezionali, avrebbe potuto considerarla come un semplice strumento di piacere egoista e non più come la sua compagna rispettata e amata. La mia esperienza di medico e poi di prete mi ha confermato, purtroppo molto spesso, questo triste pronostico.

Oggi chi può maggiormente beneficiare della lettura dell’enciclica?

Probabilmente le stesse coppie che, come notiamo, finiscono per stancarsi della contraccezione, senza riuscire necessariamente a mettere a fuoco con precisione questo malessere. Ritrovare il senso della loro comunione, del legame fra l’amore e la vita è incontestabilmente una fonte di gioia profonda e di mutua comprensione di ciò che sono l’uno per l’altra. Inoltre, le persone che accompagnano le coppie o che educano i giovani possono trovarvi argomenti non solo pedagogici ma che possono procurare una visione entusiasmante dell’insegnamento della Chiesa.

L’ecologia integrale promossa da papa Francesco offre chiavi nuove per accostarsi alla bellezza e alla verità della sessualità umana, al centro di «Humanae Vitae»?

In effetti, è lo stesso papa Francesco che chiede nella sua esortazione apostolica Amoris Laetitia (n.222) di riscoprire l’enciclica Humanae Vitae per combattere una mentalità spesso ostile alla vita. Nella sua enciclica Laudato si’ papa Francesco ricorda che «tutto è connesso» e dunque che il rispetto della natura e dei limiti che essa impone non è circoscritto alle piante e agli animali ma riguarda anche la nostra umanità. Ritrovare il senso e la bellezza dei ritmi che costituiscono la nostra femminilità e la nostra mascolinità significa rendere grazie per ciò che siamo gli uni per gli altri, in un’alterità ordinata per amore, secondo l’immagine del Dio trinitario.

Un impegno pastorale efficace e credibile attorno alla «Humanae Vitae» oggi è possibile? Da dove cominciare?

Tutto è sempre possibile, occorre solo crederci. Anche se all’inizio l’adesione non è unanime, la coerenza dell’insegnamento della Chiesa appare pure ai non credenti, come ho potuto constatare nel corso di incontri di prepara- al matrimonio. Occorre innanzitutto mostrare il progetto bello di Dio sull’uomo e la donna e come una conoscenza seria della sessualità umana possa condurre a una pienezza reciproca. Occorre probabilmente uscire da questa percezione di una morale cristiana concepita come un modo astratto di indottrinare. L’insegnamento della Chiesa sulla sessualità si basa sulla sua fede in Dio che si è unito alla nostra carne. Non si tratta di un avatar virtuale: il Verbo si è fatto carne in modo che la nostra carne diventi Verbo e possa amare dello stesso amore con cui è amata e accolta in Dio.

La pandemia in corso suscita riflessioni sull’abnegazione umana verso la vita così come sul senso stesso della vita umana. Queste riflessioni riemergono con forza, dopo essere state un po’ dimenticate forse per via dell’attenzione al versante tecnico del cosiddetto «homo sapiens technologicus » contemporaneo. Percepisce le premesse di una svolta?

È vero che la nostra cultura occizione dentale ha occultato la morte fin dalla metà del Novecento. La tecnologia, che ci ha permesso di fare progressi considerevoli che occorre incoraggiare, ha prodotto allo stesso tempo un’ideologia che ci conduce a rifiutare ciò che siamo, i nostri limiti, la nostra condizione umana. Il transumanismo, per esempio, ha potuto lasciar credere che si verrà a capo della morte e che l’uomo realizzerà il mito di Gilgamesh di rendersi immortale da solo. Un semplice virus, in fondo molto banale, ha messo fine a quest’illusione. Se un terrore irragionevole si è impadronito di alcuni, al contrario molti si sono destati per mettersi al servizio dei loro simili, in particolare dei più fragili. Un autentico progresso umano sarà possibile solo con molta umiltà, altrimenti il progresso tecnico rischia di divenire un tritacarne di ciò che resta in noi d’umanità.

A proposito di ciò che attira l’attenzione contemporanea: quali aspetti le restano più impressi, più di un anno dopo, delle reazioni planetarie suscitate dal rogo di Notre-Dame? Questa catastrofe ha rivelato una vitalità quasi insospettata delle pietre agli occhi di un’umanità alla ricerca di sorgenti di vita...

La cattedrale non è solo un insieme di pietre. Essa è il luogo in cui si rivela la profondità dell’anima umana capace di rivolgersi a Dio e di trascendersi per raggiungere un 'oltre' rispetto alla sola materia. Siamo stati tutti profondamente colpiti dall’unanimità di reazioni giunte da ogni orizzonte. Dai grandi donatori generosi fino ai bambini che mi chiedevano «monsignore, hai ricevuto la mia moneta da un euro, vero?», questo slancio in cui ciascuno vuole recare il proprio contributo è il segno che il soffio dello Spirito che ha voluto questa cattedrale non si è spento. Il restauro ci ricorda che la vita prevarrà sempre sulla morte. È il cuore della nostra fede: Cristo è davvero risorto.