Vita

Il ddl Cirinnà. Renzi, la piazza e i dubbi sulla stepchild

Angelo Picariello venerdì 29 gennaio 2016
E ora occhi puntati sulla piazza, sulle sue ragioni. Anche  Matteo Renzi prende tempo e riflette. Mentre l’atteso approdo in aula al Senato delle unioni civili scivola via velocemente, persino un po’ pigramente. Se ne riparla martedì, voto finale previsto non prima dell’11 febbraio. Segno della consapevolezza che tocca tutti, giunti sulla soglia delle decisioni, della delicatezza del tema. Il premier, intanto, contrassegna con un silenzio assordante questa fase decisiva, dopo aver ribadito più volte che una legge non è più rinviabile e che la stepchild è stata partorita dalla sua 'Leopolda'. Tutti si attendono da lui un’indicazione per lunedì, prima di tornare in aula, per tenere il partito unito. I passi ci sono stati, anche Micaela Campana, la stessa Monica Cirinnà, Giuseppe Lumia che avevano difeso il testo come immutabile, hanno partorito 15 emendamenti, per provare correggere alcuni 'copia & incolla' dal matrimonio e l’automatismo della stepchild.  Piccolo, ma il segnale c’è stato. In piazza ci saranno Ndc e Udc praticamente al completo, proprio mentre al partito di Alfano arriva un robusto riconoscimento nel rimpasto. E poi uomini di Demos come Gigli e Sberna, e persino esponenti del Pd, come Beppe Fioroni. Ma l’area di chi, fra i dem, tifa per la riuscita della manifestazione per la famiglia è molto più ampia di chi, come Fioroni, lo dice apertamente: «Se la manifestazione avrà successo sarà più facile togliere la stepchild». Per l’ex ministro nessuna scomunica dall’alto. Perché alla piazza, in realtà, guarda con attenzione anche Matteo Renzi. Se avrà i giusti toni, se non prenderanno il sopravvento le strumentalizzazioni dei gonfaloni regionali e delle bandiere dei partito, a quella gente con le carrozzine e con i bambini per mano guarda interesse anche il premier. Che giudica cruciale per dare spessore al suo progetto politico, alla quale offrire risposte in termini di lavoro e lotta alla povertà. Renzi ieri, in Consiglio dei ministri, ha voluto dare una prima risposta concreta, non certo casuale per scelta dei tempi. Chi ha potuto parlare in questi giorni con lui di questi temi, racconta di un premier molto soddisfatto per la piega che ha preso la discussione interna. Che dà l’idea di un partito capace di confrontarsi, anche animatamente, sui valori e non solo sugli interessi e sulle leggi elettorali. Non a caso è proprio un uomo molto vicino a lui, Andrea Marcucci, che si è intestato uno dei tentativi più accreditati di mediazione, presentato insieme a Giorgio Pagliari, volto a correggere la stepchild con un affido 'di prova' di due anni. Ma anche le proposte dei 'cattodem' guidati da Stefano Lepri vengono valutate con attenzione da Palazzo Chigi. Quel che però nessuno dice ad alta voce - ma tanti pensano, ormai, nel Pd - è che l’idea dello stralcio dell’articolo 5, facendo cadere del tutto a scrutinio segreto la stepchild (per trattarla a parte insieme alle adozioni) potrebbe essere la via maestra. Renzi non lo dirà mai. Ma se contro l’articolo 5 si sommassero le sincere preoccupazioni di molti e le strumentalità anti-renziane di altri, il premier potrebbe non prenderla tanto male. Le unioni civili passerebbero, e le adozioni possono valere un periodo di riflessione in più.